Non si sa se sia peggio la schizofrenia o il buonismo. Dopo la vicenda paradossale del burkini un nuovo spettro si aggira per l’Occidente: l’acqua-gym per donne islamiche. La notizia arriva da Reggio Emilia dove un’associazione di integrazione ben finanziata dal Comune – tanto per capirci soldi nostri – è venuta incontro ad un bisogno. Quello delle donne musulmane che per rispondere alla stretta osservanza di non si sa di quale legge islamica hanno chiesto ed ottenuto di poter svolgere un corso di acqua-gym esclusivamente riservato a loro. Quindi: vasca riservata alle donne maomettane e insegnante rigorosamente femmina. “L’idea del corso di acqua-gym per sole donne risponde alla necessità di molte cittadine reggiane, che per motivi prettamente antropologici e culturali vivono da sempre un senso di esclusione da strutture e offerte sportive per un puro senso di pudore”. Antropologici? Pudore? C’è una fenomenologia dell’acqua-gym che ci eravamo persi? Una mistica del pudore portata avanti dai Comuni? E’ un bisogno concreto? Può darsi, si sono iscritte in 25 e si sono fatte anche fotografare sul sito dell’associazione sportiva che le ospita nella piscina comunale, a proposito di pudore.
Ma è evidente che ognuno fa quello che gli pare e conoscendo la proverbiale apertura dei mariti arabi in fatto di corpi femminili esposti all’acqua o al sole non ci sarebbe da meravigliarsi. Ma ciò che suscita ilarità, se non inquietudine, è il fatto che il pubblico debba farsi carico del problema. Se 25 donne vogliono fare acqua-gym e dà loro fastidio che ci siano degli istruttori uomini a noi la prima cosa che verrebbe in mente sarebbe quella di arrangiarsi da sole nel privato. Pagando di tasca loro. Ma evidentemente la mala pianta dello statalismo sta iniziando a contagiare anche il mondo musulmano, forse perché a rispondere e soprattutto a creare certi bisogni ci sono associazioni interamente pubbliche, come è il caso di Mondinsieme, l’associazione di promozione dell’integrazione interamente finanziata dal Comune di Reggio, che solleticano il mondo musulmano con il miraggio di una conquista del potere culturale, per non dire sottomissione, che sta iniziando anche un po’ a stancare tanto è smaccata.
C’è un però, anzi ce ne sarebbero diversi. Mentre lodiamo la nostra indipendenza culturale dalla Francia dicendo che “il burkini proprio no, non possiamo toglierglielo”, dall’altro lato costringiamo le donne musulmane a ghettizzarsi per poter svolgere un’attività che è espressione del mondo occidentale e non ha nulla a che fare con il mondo arabo. Però, ipocrisia delle ipocrisie, definiamo il tutto come un bell’esempio di integrazione. Sentite come la spiegano dalle parti di Reggio Emilia: “Il sabato mattina ben 25 donne frequentano (e molte sono in lista d’attesa) un corso riservato esclusivamente al pubblico femminile dove anche il personale della piscina è rosa in modo da garantire e tutelare uno spazio intimo in cui tutte possono sentirsi a proprio agio nel rispetto di ogni cultura e religione”. Pubblico femminile? Non proprio: pubblico femminile musulmano, ma agli ideatori della trovata pareva troppo esplicita come cosa, pertanto l’hanno relegato come un corso solo per donne.
Ora, trovatemi un corso di acquagym al quale partecipano anche uomini e poi ne riparliamo. E poi: spazio intimo nel rispetto di ogni cultura e religione? Come fanno le istituzioni a definire integrazione tutto questo? Proprio le stesse istituzioni che ci stanno ammorbando con l’indifferenziazione di genere e sessuale? Semmai è il contrario perché a quel corso partecipano soltanto un gruppo ristretto di donne che hanno come un unico denominatore comune la loro fede. Se non è discriminazione questa come la vogliamo chiamare? Il corso infatti, tramite l’associazione Mondinsieme è proposto solo alle donne musulmane e non a tutte le sciure, cattoliche, atee e buddiste che vogliono sgambettare con l’acqua per rassodare glutei e braccia.
Così facendo la piscina viene occupata da un gruppo ristretto sulla base di un’esigenza religiosa o affine alla religione. Immaginate un gruppo di mamme catechiste che chiedono al Comune di riservare loro una vasca in piscina perché non vogliono mischiarsi con le altre donne. Non si griderebbe alla ghettizzazione? Non partirebbero le lamentele di comitati all’insegna del “liberiamo le donne dalla schiavitù dei complessi e dai retaggi clericali”? Il fatto è che la rivoluzione sessuale ci ha completamente fatto perdere il lume della ragione: abbiamo imposto il nudo come forma d’arte e di massima espressione della libertà, svilendo il corpo della donna trasformata in oggetto, ma in nome di una libertà che ci fa paura, quella islamica, siamo proni ad accettare richieste paradossali: come quella appunto di riservare una piscina per chi professa una fede piuttosto che un’altra.
Cosicché fa semplicemente ridere un’istituzione pubblica che parla di pudore. Si potrebbe obiettare che anche per la religione cristiana il corpo, in quanto tempio dello spirito, andrebbe preservato dalla sua ostentazione pubblica e futile. Certo, ma la tradizione cattolica ha magistralmente saputo convivere nei millenni con il sacrosanto senso del pudore unito però al controllo degli istinti animali che il maschio ogni tanto ha.
Il risultato è stata un’armoniosa sociologia umana che da un lato garantiva alle donne il rispetto per la loro integrità, anche in piscina, e dall’altro il rafforzamento della virtù della temperanza e del dominio di sè nel maschio. Perché non siamo animali. Cedendo alla pretesa islamica di un ghetto per le donne islamiche, non si fa altro che cedere a questa mancanza di forza interiose e si accelera un po’ di più una sottomissione maomettana che si sta pesantemente accentuando proprio partendo da questioni apparentemente futili o banali, come appunto un corso di acqua-gym.
Intanto però quando si fa presente che certe leggi vanno contro il sentimento religioso di un popolo e contro un’antropologia che ci ha forgiato fin nel midollo, come ad esempio l’imposizione del gender nelle scuole, si grida allo scandalo e all’oscurantismo. Se non è schizofrenia istituzionale come vogliamo chiamarla?
di Andrea Zambrano in La Nuova Bussola Quotidiana