Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti
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Cristo è risorto ed è veramente risorto!
Venerdì santo ci siamo fermati a guardare Gesù, morto, appeso ad una croce, ma ora siamo chiamati a credere nella Risurrezione, nel Signore che ha vinto la morte ed è il Vivente. Non è così scontato. Di fronte all’ annuncio della Pasqua siamo chiamati e guardare in noi stessi e ripensare quanto questo Vivente abbia spazio nella nostra vita. “Un commentatore scrive: “troppo spesso il Gesù in cui crediamo è un Gesù che rimane morto e noi pensiamo di fargli un piacere portandogli ancora degli unguenti per imbalsamarlo!
Gesù è morto quando lo teniamo fuori dalla vita, morto se resta chiuso nei tabernacoli delle chiese senza uscire in strada con noi, morto se la sua Parola non spacca il mare di ghiaccio che soffoca il nostro cuore.
Gesù è morto e sepolto quando la nostra diventa una religione senza fede, un quieto appartenere alla cultura cristiana senza che il fuoco della sua presenza contagi la nostra e l’altrui vita: morto se la fede non cambia la nostra economia, la nostra politica; morto quando ci arrocchiamo nelle nostre posizioni di cattolici scordando il nostro essere uomini” (Curtaz)
Ma se il Signore Gesù è veramente risorto e lo è noi dobbiamo convertirci alla gioia e alla speranza.
la gioia deriva dal latino gaudium. Il gaudio è, secondo i dizionari, una ‘gioia vivissima’. Difficile in questi momenti bui, in cui più che alla gioia prevale il dolore, la sofferenza, la distruzione l’uccisione e non solo nella guerra. Anche nella nostra vita, nella nostra esperienza di uomini e donne, che se si fermano a riflettere possono chiedersi un chi sperare?
La gioia, alimentata dalla speranza ci fa andare oltre, a rivolgere i nostri occhi in alto, a non rimanere imprigionati nell’ ansia, nella paura.
Pietro andando al sepolcro lascia dietro di se il senso di colpa per avere rinnegato Gesù.
Cosa trovano, lui e Giovanni? dei segni piccoli: le bende. Ecco come la fede ci accompagna a cogliere la presenza del Risorto.
Gesù risorto è la speranza per tutti i poveri della terra, i perseguitati dai potenti, i giovani che fanno fatica a sperare, i bambini orfani, abbandonati, questa speranza passa, però, attraverso l’impegno di ciascuno di noi che oggi si ritrova qui a celebrare la Pasqua, a far si che l’annuncio della Risurrezione sia calato nella vita quotidiana.
Dice mons. Comastri: “Noi sappiamo che l’umanità ha una meta, un traguardo, ha una terra promessa. Questo traguardo ha una strada, una sola strada: è la vita di Cristo, la vita vissuta con amore che si fa servizio al prossimo, che si fa perdono verso chi ci offende, che si fa carità verso tutti indistintamente: con Cristo e per Cristo!
Buona Pasqua così! Perché una buona Pasqua è soltanto una Santa Pasqua”
Deo gratias, qydiacdon