Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
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Se c’è una domanda che l’uomo si pone, consapevole del suo limite temporale fisico, è quella sul suo futuro. Il suo personale, ma anche quello del mondo.
Una domanda che a volte si vorrebbe stornare dalla vita, ma che puntualmente appare in certi momenti. Anche in un mondo laico, lontano dall’esperienza di fede e dalla religione questa domanda non può essere cancellata. E’ una domanda che risuona ancora in questo tempo incerto che stiamo vivendo a che sembra avere toni apocalittici come quelli del Vangelo e della prima lettura. (Dn 12,1-3).
Se da una parte vi è questo tentativo di voler rimuovere il pensiero di ciò che attende l’uomo dopo la fine della sua vita temporale, d’ altra parte tanti si rivolgono all’occulto per tentare di decifrare se vi è un oltre e quale oltre. G. Chesterton afferma: “O credente o credulone”. Ciascuno di noi ha bisogno di credere in qualcosa o in qualcuno, meglio in Qualcuno.
Qui ci poniamo la prima domanda noi cosa pensiamo del futuro? Chi ci può dare una luce, una speranza?” Domande profonde la cui risposta non è semplice perché può essere di speranza, ma anche di pessimismo, di sfiducia, di disperazione.
Il Vangelo ci presenta il discorso su quelle che saranno le realtà ultime, quelle che mettiamo sotto il titolo di Giudizio Universale e se leggiamo bene sono immagini spaventose: “ il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.”
C’è da rabbrividire, tutto si dissolverà? Non vi sarà un’ulteriore possibilità, non vi sarà scampo? Un commentatore scrive: “Questo linguaggio può apparire duro, ma non rinvia a catastrofi terribili della fine del mondo, invita, al contrario, a credere ad un avvenire e a una speranza che sbocceranno nella gioia del compimento della storia”.
Credere ad un oltre che va al di là e che sboccia nell’eternità, questo è inscritto nei nostri cuori, se li ascoltiamo. Perché mai sentiremmo il dolore per la fine della nostra vita, dei nostri affetti, di un mondo che amiamo se non avessimo questo desiderio di eternità, di immortalità.
Oggi la nostra vicenda, la storia con questa pandemia di cui si parla, con le limitazioni alla libertà personale, con il violare i diritti umani fondamentali ha uno sfondo tetro, ma su questo sfondo tetro vogliamo mettere una parola: SPERANZA. Questo mondo così segnato così segnata dal male, in cui spesso ci ritroviamo sperduti, in cui ci sentiamo troppo soli anche da parte, per noi credenti, dai nostri pastori lascerà il posto ad altro; ad una nuova realtà più grande, più bella, migliore. Questa realtà si costruisce già ora, pia piano, qui adesso, proprio come si costruisce una casa ponendo le fondamenta e poi su, su mattone dopo mattone. Vi è una corrente del pensiero ebraico contemporaneo che invita tutti: ebrei e non ebrei, quindi credenti e non credenti a comportarsi secondo rettitudine per accelerare la venuta del Messia, Occorre allora interrogarsi a partire da noi stessi su cosa cambiare e se ne abbiamo veramente la volontà. Più che interrogarci su questo noi ci fermiamo alla domanda: quando accadrà la fine del mondo?
Anche la scienza parla della fine, il mondo ha avuto un inizio, ha un’età e avrà una fine. La scienza fa’ le sue ipotesi, il Vangelo non lo dice. Gesù invita piuttosto alla vigilanza, a sapere leggere i segni dei tempi nello stesso modo in cui sappiamo leggere i segni della natura, che fare quindi?
Vigilare. Vivere un’attesa operosa portando nel mondo tutto il bello, il buono, il bene l’amore che riusciamo. Come qualcuno ha scritto: “Impegnatevi di impiegare tutto il tempo che viene donato, (che Dio vi dona), trasformandolo in opere di bene perché sono queste che conducono alla salvezza e resistono ad ogni sovvertimento della storia”. Cercare di vivere a pieno ogni attimo, senza oppressione e angoscia, se oggi viviamo nel bene il dopo non potrà che essere meraviglioso.
Avremo questa volontà?
Deo gratias, qydiacdon