Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
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Le letture di questa Domenica ci presentano due vedove. Una nella prima lettura, (1 Re 17, 10-16) e il Vangelo.
Cosa hanno in comune queste due vedove? Tutte e due sono in una situazione di indigenza, di povertà. Al tempo di Gesù rimanere vedove era una vera e propria tragedia, per vivere spesso si vedevano costrette a mendicare o peggio ancora a prostituirsi. Inoltre disprezzate perché mendicanti e prostitute. Direi che le donne, purtroppo, nell’arco della storia umana, quelle che non avevano un certo stato sociale, hanno subito delle grandi ingiustizie, e questo per certi aspetti continua ancora oggi pur sentendo parlare di parità di genere e non di parità di dignità, di valore pur nella diversa specificità maschile/femminile.
Cosa accomuna queste due vedove nella loro condizione di indigenza?
La generosità, il dare quello che hanno pur nella loro condizione.
Una ha solo un po’ di farina e un po’ d’olio, l’altra possiede solo due monetine. La prima avrebbe anche potuto rifiutarsi di mettere la farina a disposizione del profeta per sfamarlo, la seconda, quella del Vangelo getta nel tesoro del tempio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”
Nella nostra vita vi sono momenti di buio, momenti come quelli che stiamo trascorrendo in cui vi è chi perde la salute, chi il posto di lavoro, chi qualcuno che ci è molto caro, in cui si rischia di perdere anche la propria libertà e allora la persona perde la voglia di vivere. Momenti difficili, terribili che sembrano insuperabili, come quelli che stanno trascorrendo anche le due vedove delle letture.
Un commentatore scrive: “… Quando si è bastonati, ai margini della strada, si soffre e basta (…) Eppure in quel momento di rarefazione esistenziale, di dolore assoluto, con o senza Dio presente, possiamo diventare capaci di accoglienza, di dono, di condivisione, di non lasciarci soffocare dalla rabbia assoluta e vedere altro dolore e sofferenza”
È il mistero del cuore umano, quando è vero, autentico, un cuore che palpita anche nella sofferenza e che sa aprirsi all’altro e al mistero stesso, nella fede, di Dio.
Ma com’è il nostro cuore? Siamo invitati a riflettere. Come ci saremmo comportati noi al posto di queste due vedove? Facciamoci questa domanda, che vale anche per me, e cerchiamo la risposta dentro di noi con sincerità e con umiltà.
Dare e donare sono due cose difficili. Tutti noi siamo attaccati ai nostri beni e alle nostre sicurezze, ed è anche comprensibile: attenzione però a non farne un assoluto. Se questo accade noi ci rinchiudiamo in noi stessi e non sapremo né aprirci agli altri, né chinarci sulle sofferenze degli altri mettendo a disposizione ciò che abbiamo.
Se il nostro cuore è un cuore vero, fatto di carne e non di granito anche nelle difficoltà possiamo diventare un po’ “luce” per gli altri. Se proprio non abbiamo nulla diamo il nostro tempo, la nostra attenzione, la nostra vicinanza. Possiamo dare in solidarietà ed elemosina ciò che abbiamo dentro di noi, parteciparlo, condividerlo, metterlo anche in discussione.
Non trascuriamo però anche l’aiuto con quanto di nostro possiamo mettere a disposizione degli altri. Vi è una frase del vangelo che corre il rischio di passare un po’ sotto traccia: “Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo.” Dare il superfluo e neanche tutto non è poi così difficile. Magari riusciamo anche a sentirci bravi, migliori, filantropi, ma dare ciò che si ha per vivere, quello che ti serve, di cui hai bisogno diventa difficile, richiede una forza grande che tanti uomini non hanno, forse anche noi.
Quello che si fa vale nella misura dell’intenzione con cui la si fa, intenzioni cattive possono rovinare gesti che in sé sono buoni, ma un’intenzione retta può rendere grande anche un piccolo gesto. Dio guarda il cuore e non all’ apparenza.
Termino lasciando una domanda per tutti: “perché faccio il bene, quando e se lo faccio?” Il Signore mi aiuti a trovare la risposta giusta.
Deo gratias, qydiacdon.