In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».(Gv. 15,1-8)
Parola del Signore
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“Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore.”
Potremmo tradurlo così in un linguaggio che vada bene per credenti e non credenti. Oggi si parla spesso di amore ma ci siamo mai fermati a riflettere su questa parola per la quale sono stati sparsi fiumi di inchiostro? La nostra cultura odierna tenta di relegarlo alla sfera dell’emotività, del sesso, dell’emozione a pelle.
Fra le tante cose che si possono dire, amare significa donarsi a chi ti viene incontro sulla strada della vita nelle sue situazioni, nelle sue gioie, nei suoi dolori credendo che esiste un progetto di bene per la tua vita e per quella degli altri. Amare senza distinzioni e senza etichette. Difficile, questo per tanti, anche per tanti credenti.
Facile parlare d’ amore, non altrettanto vivere l’amore, renderlo presente qui ed ora nel tuo tempo e nella tua storia con fatti concreti facendolo trasparire nei piccoli gesti quotidiani, magari anche ripetitivi. Mi vengono in mente, ad esempio i gesti che compie una mamma quando prepara il proprio figlio/a piccolo per andare a scuola la mattina e poi l’accompagna. Routine, potrebbe dire qualcuno, ma una routine che è dettata da un legame profondo che ha la sua radice nel mistero stesso della vita, che è un atto d’amore. Come si fa a parlare d’ amore? Esclude la ragione e la consapevolezza? Oggi vi è un detto: “Va’ dove ti porta il cuore” , ma questo non esclude responsabilità
Vivere e praticare l’amore, quando lo si fa veramente, porta a misurarci anche con le nostre inadeguatezze, con le nostre inadempienze, con le nostre fragilità, per noi cristiani con il peccato che insidia continuamente il nostro cuore.
Questo non ci deve fare disperare, la disperazione è infatti colei che chiude il nostro cuore all’ esperienza dell’amore. Vi è Qualcuno, Dio, che è più grande del nostro cuore e che conosce ogni cosa, dice sempre l’apostolo Giovanni. Proviamo a pensare all’ amore coniugale e a vederne le conseguenze.
Quando insegnavo e parlavo di questi argomenti ai miei alunni dicevo: l’ amore è come un diamante che ha molte facce. Una l’ abbiamo presa in considerazione ed è quella dell’ amore dei genitori, in particolare quello materno. Vediamo ora l’ amore di coppia, l’ amore coniugale. Quali sono le sue caratteristi, che si possono ritrovare in ogni modo in cui l’amore si manifesta. Riconoscere l’altro, rispettandolo, pazienza oblartività, dono si sè, gratuito, perdono, anche dopo tanti anni di vita assieme.
Misurandosi con l’Amore che “rassicura”, che “non misura”, che è “più grande dei nostri difetti”. E così, colui/colei che ama scopre di essere nato/a “dalla verità”, cioè dall’Amore che lo precede, dalla rassicurazione che esistiamo perché siamo stati amati. E così sparisce ogni ombra di narcisismo, ogni auto protezione: protetti dall’Amore che ci consente, ogni volta, di ri-cominciare.”
Giovanni parla anche di Verità. Se per il cristiano vivere la verità di Cristo, che lo fa progredire nella via della santità, questa non esclude il rapporto che la verità stessa, come lui la intende, non debba produrre frutti nei rapporti anche tra gli uomini. “Sono frutti di amore, di carità. Giovanni li descrive con la formula biblica: “camminare nella verità” (2 Gv 4; 3 Gv 3.4). Concretamente questa espressione significa: vivere nella carità cristiana. Giovanni non scrive mai “camminare nella carità”, ma unicamente “camminare nella verità”. La ragione è che Giovanni vuol mostrare che l’autentica carità si pratica nell’irradiamento della verità”
Per noi è la rivelazione dell’amore del Padre e di Cristo.
Ma vi è una differenza fra l’amore cristiano e quello che non è definito tale?
La differenza è questa. Il primo trova la sua origine in Gesù e per questo visto che la sua sorgente non è umana ci dona la forza di amare anche ciò che umanamente non sarebbe amabile. E’ quell’ amore che non cerca solo il benessere dell’altro, che sarebbe già tanto, ma la sua realizzazione anche a costo della sofferenza, ma la sua persona; vuole entrare in comunione con lui, desidera la sua felicità integrale.
L’amore cristiano, quando è autentico, è dimenticanza di sè, dono totale, perchè partecipa all’assolutezza di Dio. Ecco tutto ciò che è richiesto dai cristiani che vogliono veramente “amare nella verità”.
A questo punto capiamo come sia facile parlare di amore, ma come sia molto impegnativo amare nella verità di ciò che significa.
Ecco allora l’immagine della vite e dei tralci che ritroviamo nel vangelo. E’ possibile amare come quella massima che molti di voi conoscono che la misura dell’amore è amare senza misura.
La parabola ci dice che è possibile nella misura in cui noi siamo uniti a Gesù.
Così è per il cristiano, uniti a Gesù noi possiamo portare e dobbiamo portare frutti buoni, dolci pieni di amore nella grande vigna del mondo.
Come per la vigna viene, però, anche per noi il momento della potatura. Quando si pota la vite la vita piange, la linfa esce dal taglio esattamente come fa il sangue da una ferita. Così anche noi nella nostra vita siamo potati da delusioni, fatiche, malattie, da periodi che hanno alti e bassi. In questo momento sembra da questa prova a cui siamo sottoposti. Ma noi ci arrabbiamo alle potature e non accettiamo i fallimenti che fanno parte del nostro limite di essere finiti, limitati.
Eppure la potatura permette alla vite di dare il frutto migliore, è come quando un genitore corregge il proprio figlio, magari dandogli anche una sculacciata, che non ha mai fatto male a nessuno.
Certo i frutti li vedremo, ma non subito e saranno quelli migliori. Io spero e auguro a tutti noi di essere un tralcio buono attaccato alla vera vita che è Gesù.
Deo gratias. Qydiacdon