Domenica scorsa il Signore ci diceva della necessità di pregare sempre, senza stancarci mai attraverso una parabola, quella della vedova che andava a chiedere giustizia a questo giudice che non aveva riguardo verso nessuno e che non temeva nemmeno Dio.
Oggi Gesù, ancora attraverso una parabola, che ha come protagonisti due personaggi veri che appartengono alla società ebraica del suo tempo, ci parla di come deve essere l’atteggiamento nella preghiera, ma ci rivela anche da dove nasce e parte la nostra preghiera.
I nostri due personaggi, abbiamo sentito sono un Fariseo e un Pubblicano. Uno, il Fariseo, sta in piedi nella sua preghiera dinanzi al Signore. Sono nel tempio. Nel tempio di Gerusalemme vi erano diversi cortili, diversi livelli a cui era consentito l’accesso alle persone che vi si recavano. Un luogo dove potevano accedere i pagani, un altro dove potevano stare le donne, ancora uno dove potevano andare gli israeliti, quello dei sacerdoti, poi il vestibolo, il Santo, e il Santo dei Santi dove andava solo il sommo sacerdote.
Mentre il Fariseo sta dritto in piedi, il pubblicano si ferma a distanza.
Ma andiamo a vedere come prega il fariseo e come prega il pubblicano.
“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
La sua preghiera comincia bene, sente la necessità di ringraziare Dio dal quale viene ogni bene per noi. Scivola subito quando dice: “Non sono come tutti gli altri uomini …” Non dimentichiamo la premessa alla parabola che Gesù dice per alcuni “che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri uomini”.
Se volessimo riassumere in un gesto questo atteggiamento sarebbe quello di puntare il dito.
Sarebbe come dicesse, puntando il dito, grazie perché io sì che sono diverso da tutti gli altri, io sì che sono giusto, sono a posto di fronte a te Signore quindi non sente la necessità di accogliere il dono dell’amore di Dio che perdona.
Chissà a volte anche noi esplicitamente o implicitamente abbiamo puntato il dito nel nostro ragionare, nel nostro confrontarci dicendo, pensando per fortuna io non sono mica come quello lì. Questo senza sapere la storia di una determinata persona, ciò che ha vissuto, le prove che ha dovuto affrontare.
Io non sono come lui, e non mi rendo conto che così facendo mi sto ergendo a giudice del mio prossimo e anziché amarlo, secondo il comandamento di Gesù lo condanno senza misericordia.
L’ apostolo Giacomo ci rammenta: “Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio.” (Gc 2,13) Già, perché anche noi saremo chiamati a subire il giudizio su come abbiamo creduto, amato e sperato e operato. Non solo anche noi siamo peccatori e non giusti e tutti abbiamo bisogno della misericordia del Signore.
Attenzione, quindi, nel sentirci a posto di fronte al Signore, anche se rispettiamo tutti i comandamenti come i Farisei che osservavamo tutti i 613 precetti della legge.
Il pubblicano sta a distanza, sa di non essere secondo quanto prescrive quello che dice il Signore, è consapevole della sua inadeguatezza, della sua miseria di fronte a Dio. Se volessimo raffigurarla con un gesto sarebbe quello che noi dovremmo fare quando recitiamo il confesso all’inizio della Messa, che è anche la prima preghiera, di batterci il petto.
La sua preghiera inizia con l’essere consapevole che di fronte a Dio è in una condizione di colpa, e poi la richiesta della pietà di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. S. Giovanni dice: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.”
Questa consapevolezza non ci permette di accampare diritti nei confronti di Dio, né di sentirci giusti rispetto ad altri, ma ci richiama a guardare in noi stessi e tutti scopriamo di essere bisognosi della misericordia del Signore.
Commenta il Cardinal Biffi: “È da notare che il pubblicano è un peccatore che non si vanta delle sue colpe, ma se ne pente; non vuole imporre a Dio la sua condotta aberrante, ma chiede la grazia del perdono, impegnandosi implicitamente a non peccare più; non pretende un’approvazione delle sue prevaricazioni, ma sollecita umilmente la pietà del Signore. Colui che più sarebbe lontano dall’ insegnamento di Cristo, è l’uomo che fosse al tempo stesso peccatore come il pubblicano, deciso a non cambiare come il Fariseo.”
Facciamo nostra la preghiera del pubblicano, perché: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.” .
Così anche noi potremo tornare a casa giustificati!
Deo gratias,qydiacdon