Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 agosto 2018:
L’inserimento diretto della CEI – Conferenza Episcopale Italiana – nella trattativa e nella conclusione della vicenda della “Diciotti” è qualcosa di nuovo. Risolve qualche problema ma ne pone altri. Non si era ancora mai verificato che i vescovi italiani si inserissero in una decisione istituzionale e politica di spettanza del governo italiano, dei governi di altri Paesi coinvolti, e dell’Unione Europea. Le persone sbarcate dalla “Diciotti” sono state affidate all’Albania, al Irlanda e… appunto alla CEI, che però non è uno Stato come gli altri due. Potrà in futuro ripetersi la cosa? E la CEI chiedere ancora che il governo accolga immigrati affidandoli poi alla Chiesa italiana? E potrà farlo solo la CEI o anche altre realtà religiose presenti in Italia? Potrà farlo anche l’UCOII? Potranno farlo anche altri soggetti non religiosi della società civile? Non esiste più, quindi, il diritto dovere dello Stato di difendere i confini e di decidere in ultima istanza su chi entra? So bene che la decisione politica non è stata presa dalla CEI, ma dal governo italiano, e che si è trattato di uno stratagemma per risolvere una questione che stava diventando sempre più spinosa, ma il governo l’ha presa perché la CEI si era resa disponibile. Chi altri in futuro avrà titolo per rendersi disponibile? E il governo dovrà sempre tenere conto di queste disponibilità? Un atto in apparenza così semplice crea una situazione complessa.
Del resto, alla fine i nuovi ospiti vivranno in Italia, perché la Conferenza episcopale italiana non è sovrana su un territorio, vive in Italia, con tutte le sue diocesi e parrocchie. Quindi, di fatto, sono stati accolti in Italia a tutti gli effetti, tranne quello economico, almeno sembra. Allo stato attuale non è infatti chiaro se la CEI manterrà i nuovi arrivati con i fondi dell’otto per mille o altri fondi propri oppure se li farà rientrare nelle quote a carico delle Caritas diocesane. In questo caso a mantenerli sarebbe ancora lo Stato italiano e non la CEI. In ambedue i casi, comunque, gli immigrati vivranno in Italia e qui faranno le domande di asilo per ottenere la qualifica di profughi e per tutte le altre pratiche cui gli immigrati che sono in territorio italiano senza un permesso devono sottoporsi.
Tutto questo non ha niente a che fare con l’integrazione. La CEI, che non è uno Stato sovrano, si è offerta di prendersi in carico delle persone le quali non perdono perciò la qualifica di clandestine e che quindi rimarranno in Italia, per un periodo più o meno lungo in attesa di una vaglio della loro situazione da parte delle autorità. Fare questo non significa integrare, significa solo accogliere facendosi carico delle spese.
Non c’è dubbio che la CEI abbia agito con sagacia dal punto di vista dell’immagine. Passa per il protagonista “buono” del gioco in questione, fingendo di accogliere presso di sé e accogliendo di fatto in Italia: ha fatto accogliere gli immigrati a Salvini senza che Salvini possa essere accusato dai suoi di accogliere gli immigrati. Però ha anche impedito che si addivenisse ad un chiarimento tra i veri soggetti politici della questione e in particolare l’Europa. Ha anche impedito che l’Unione Europea facesse fino in fondo la gran brutta figura che già stava facendo. Un soggetto non politico si è inserito in una faccenda politica impedendone il chiarimento politico.
Bisognerà anche vedere se questa intromissione diretta in politica, perché di questo si tratta, sia positiva anche da altri punti di vista e nel lungo periodo. Perché la CEI non è intervenuta anche in passato per casi politici (ed umanitari) ben più gravi? Una volta si diceva che la Chiesa non fa politica diretta ma attraverso i laici e le persone di buona volontà che essa forma: non è più valido? Questo intervento è stato motivato dicendo che in questo modo la Chiesa favorisce l’integrazione. Ma è vero che le diocesi stanno svolgendo questo compito? Eppoi: è questa la finalità che la Chiesa deve direttamente perseguire?
E’ da molto tempo che non sentiamo più parlare di evangelizzazione nei confronti degli immigrati. A meno che non si considerino tali le varie “Feste dei Popoli” che diocesi e parrocchie organizzano nel periodo di Pentecoste. Il compito di evangelizzare è stato sostituito con quello di integrare? Dimenticando forse che evangelizzare è anche il modo migliore per integrare. Se ci si impegna a integrare non perciò si evangelizza. Se si evangelizza si finisce anche per integrare. È l’annuncio ad avere sempre la precedenza nella missione della Chiesa. Allora, conviene veramente alla Chiesa italiana diventare soggetto politico, sostituendosi agli Stati? Farlo solo su alcuni temi politicamente corretti? Presentarsi come un soggetto operativo che integra senza evangelizzare? Non sarebbe meglio che la Chiesa educasse ad accogliere e ad integrare secondo i principi della sua Dottrina sociale e si concentrasse sulla evangelizzazione?
Stefano Fontana in La NBQ