In un momento in cui abbiamo cristiani che indossano magliette rosse e sacerdoti che al posto delle stole liturgiche indossano stole con i colori dell’ arcobaleno che non sono liturgici, i testi della liturgia della Parola di questa Domenica diventano illuminanti per ricordarci il compito profetico del popolo di Dio , (la Chiesa), e di ogni battezzato, chiamato ad essere in virtù del proprio battesimo sacerdote, re e profeta.
La prima lettura narra come nasce la vocazione ad essere profeta di Amos in quel dialogo con il sacerdote Amasia che è asservito al re e che tradisce il suo proprium di essere “sacerdote del Dio altissimo.”
La cosa che è evidente è quella che l’essere profeta di Amos non nasce da un’iniziativa personale, ma da una chiamata e da un compito che Dio gli affida.
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele».
Fedele a questa chiamata egli non ha paura di annunciare la verità anche quando è scomoda e tocca i potenti e tutti quelli che a loro sono asserviti.
Il confronto fra Amasia e Amos ci invita anche a riflettere su un altro aspetto. Qual è il mio rapporto con la fede? Come penso il mio rapporto con Dio?
Amasia strumentalizza la fede per compiacere non Dio, ma il Re e quindi per trarne un tornaconto personale. Rappresenta chi fa uso della fede e della religione per trarne vantaggio e la strumentalizza per fini propri.
Il profeta invece non guarda in faccia a nessuno e non ha paura di proclamare la Verità, di richiamare e denunciare sia il peccato del popolo sia quello del Re. La tentazione di strumentalizzare la fede per propri fini personali è una tentazione che è sempre presente nel cuore dell’uomo e nella storia dell’umanità allora dobbiamo vigilare per essere fedeli, semplici e autentici nel nostro rapporto con il Signore.
Amos, chiamato viene mandato da Dio è questa la missione del profeta.
Anche nel Vangelo assistiamo a una chiamata: “chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui.” Leggiamo al capitolo 3 ed oggi: “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli”.
Ma cosa manda a fare i dodici?
Devono annunciare che vi è un evento che sta cambiando la storia e la vita degli uomini: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». (MC1,14) .
La salvezza di Dio, con la venuta di Gesù, l’Incarnazione, è entrata nella storia è alla nostra portata, ma per entrarvi l’uomo deve cambiare vita, deve convertirsi.
Nell’ invio in missione Gesù: “dava loro potere sugli spiriti impuri.” Annunciare il Vangelo significa annunciare quel “ più forte[ di cui parla Giovanni Battista] di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. (MC1,7)
Quel più forte che è venuto per sconfiggere il potere del diavolo e di quelli che gli appartengono e i suoi apostoli sono investiti della stessa della sua stessa forza. Oggi si tende a non parlare più del diavolo e vi sono tanti silenzi colpevoli, ma se andiamo a leggere il Vangelo vediamo che trasuda di questa lotta di Gesù contro il maligno. Ignorarla è quanto egli, il diavolo, vuole per potere continuare ad agire per la rovina dell’uomo.
“ungevano con olio molti infermi e li guarivano.” L’ annuncio del Vangelo non è disincarnato, è attento alle sofferenze che accompagnano la vicenda dell’ uomo, quindi anche di ciascuno di noi, ma è soprattutto anticipazione e annuncio della vita eterna e di una realtà che travalica i limiti del tempo e della storia umana.
Ma qual è lo spirito che deve animare la missione? Gesù raccomanda di non portare nulla con sé. Perché? Perché lo Spirito che deve animare il mandato, il missionari è quello che apre il discorso della montagna: “Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.”
“Le parole che stiamo esaminando, hanno però anche un significato assoluto ed eterno. Ed è che i suoi apostoli devono custodire nel cuore l’atteggiamento interiore degli anawin – dei poveri di Jawhè- che ripongono la loro fiducia sostanziale soltanto nel Signore. Le ricchezze umane, quando sono legittime, non sono condannabili, però sono pericolose. Perciò bisogna abituarsi a non collocare le nostre sicurezze sui mezzi economici che si possiedono o che in futuro si potrebbero possedere, ma solo sul Dio vivo, l’unico che alla fine non delude. (cfr. Cardinal Giacomo Biffi)
Con questo spirito continuiamo la celebrazione dell’Eucaristia e portiamo il buon annuncio di Gesù nel mondo, come missionari e testimoni
Deo gratias, qydiacdon