Così funziona la legge sul fine vita: medici e giudici hanno deciso di cessare ogni supporto vitale a una ragazzina di 14 anni perché “le possibilità di miglioramento sono quasi nulle”. E per eseguire la sentenza interviene anche la polizia.
Da Reims, dove Vincent Lambert sta attendendo la decisione del tribunale di Châlons-en-Champagne, spostandosi verso est poco più di 200 km, siamo a Nancy, dove una sentenza di morte è già stata consumata.
Inés, 14 anni, in coma dal 22 giugno 2017 è morta giovedì scorso, anzi è stata uccisa, dopo che martedì, in ottemperanza alla legge Claeys-Leonetti (2016) sul fine vita, i medici hanno deciso di cessare di ventilare, nutrire e di idratare la giovane. Contrari i genitori, ma poco importa il loro parere. Di fronte ad un minore, sono i medici, “riuniti in procedura collegiale” – tengono a precisare – a poter decidere. Il consesso scientifico non ammette replica.
E così hanno sentenziato, nel loro delirio di onnipotenza, che “le possibilità di miglioramento sono quasi nulle” e che lo stato vegetativo persistente in cui si trova Inés “non le permetterà mai più di avere la minima relazione con i suoi familiari”. La politica ha rinunciato alla sua vocazione ed ha consegnato nelle mani della scienza, degli esperti, dei periti il potere di trasformare possibilità di miglioramento quasi nulle in totalmente nulle; abbiamo concesso loro il potere di prevedere il futuro in modo infallibile e di decidere che cosa sia una relazione.
A nulla erano valsi i ripetuti ricorsi dei genitori, prima al tribunale amministrativo, poi alla Corte d’appello, al Consiglio di Stato e infine alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma che ci stanno a fare tutti questi organismi, se non difendono la vita di una ragazza da una morte certa e terribile? E se non difendono i suoi genitori dal vedersela ammazzare senza poter far nulla? Forse, come scriveva Platone nella Repubblica, è perché l’opera d’arte dell’ingiustizia è quella di apparire giusta, senza esserlo: e allora servono apparati specializzati in apparenza. Fatto sta che la giustizia è ormai divenuta molto peggio dell’ingiustizia. E che se dall’ingiustizia in qualche modo ci si può difendere, sembra ormai impossibile divincolarsi dalle mani della giustizia.
I professionalissimi medici dell’ospedale di Nancy hanno provveduto a tutto, compresa la presenza “delle forze dell’ordine per calmare e far fronte ad ogni situazione”. Magari anche alla reazione di un genitore reazionario che a vedere morire ammazzata la propria figlia proprio non ci sta. Sembra di rivedere la vicenda di Alfie, quasi fin nei minimi particolari. La madre ha raccontato che erano presenti otto agenti, quattro per tenere lei e quattro per il padre…
E non è questo il solo lato straziante della vicenda. E’ sempre la madre a raccontare quei due terribili giorni in cui lei e il marito hanno dovuto assistere impotenti alla morte della figlia, che “diventava sempre più blu”. Anche loro hanno chiesto, come i genitori di Alfie, un po’ di ossigeno per alleviare la sofferenza della figlia, ma niente da fare. “Ho detto loro che non erano umani, che non avevano cuore”. Così si esprime il buon senso, che da tempo non abita più nei palazzi di giustizia e negli studi medici.
L’avvocato aveva provato un ultimo tentativo: “Ho inviato un ufficiale giudiziario per fare un’intimazione ed ottenere l’accesso all’intero dossier medico d’Ines. Perché io sono avvocato, ma anche medico e avrei voluto dare il mio punto di vista”. Ma il tentativo è andato a sbattere contro il muro di gomma della dolce morte. E a quella fredda, tremenda fretta di togliersi dai piedi un essere umano ritenuto inutile.
Luisella Scrosati in La NBQ