Riportiamo, una traduzione, senza le note, di una parte del documento della JAHLF dedicata alle cure palliative e alla sedazione terminale
“Cure palliative”. Numerosi attenti osservatori della direzione che la medicina palliativa sta prendendo in tutto il mondo, hanno espresso la loro preoccupazione che il cosiddetto movimento “Third Path to Euthanasia” (“La terza via per l’eutanasia”) si stia insediando in seno alla Pontificia Accademia per la Vita. Sulla base dei loro accurati studi, sembra che la nuova PAV corra il rischio di mettersi al servizio del movimento pro-eutanasia piuttosto che difendere la vita umana in tutte le sue fasi. La nuova PAV è concentrata sulla globalizzazione delle cure palliative internazionali collaborando con l’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC) con sede a Houston e con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Pertanto la JAHLF considera un suo preciso dovere ricordare alla PAV quanto ben noto e cioè che la medicina palliativa, come interpretata sia dall’OMS che dall’IAHPC, è spesso il veicolo scelto per istituzionalizzare cambiamenti fondamentali nell’assistenza sanitaria che riflettono una nuova filosofia in cui la vita è giudicata in base alla sua qualità piuttosto che alla sua intrinseca sacralità. L’annuncio di un seminario su “Palliative Care: Everywhere and By Everyone” sponsorizzato dalla PAV, che si terrà alla fine di febbraio 2018, può essere visto, anche in presenza di altre forti indicazioni, come un segnale che i “leaders della terza via” che sono membri della nuova PAV, stanno lavorando per rimodellare la PAV e farla diventare segretamente un organismo difensore dell’eutanasia.
La dottoressa Kathy Foley, che parlerà durante la prima sessione del seminario su “Palliative Care Improves Medicine” (“Le cure palliative migliorano la medicina”), è stata responsabile del Project of Death in America (PDIA) finanziato da Soros per nove anni, spendendo oltre 45 milioni di dollari per preparare il terreno affinché i cambiamenti nella società continuino per decenni. Sembra che la dott.ssa Foley non creda che il suicidio assistito dal medico sia intrinsecamente sbagliato.
Più della metà dei relatori del prossimo seminario hanno legami con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e sono citati nel documento dell’OMS del 2017 pubblicato dai Collaborating Center Public Health Palliative Care Programs dell’OMS. La lettura di questo documento aiuta a comprendere la filosofia e la pratica delle cure palliative, come sono evolute negli ultimi decenni, e dove i leaders della medicina palliativa intendono condurle.
A questo proposito la discussione nel summenzionato documento sulla rimozione della ventilazione meccanica nel paziente morente (pp. 31-35) è rivelatrice: si rivolge a persone che possono vedere che questo è eutanasico, in un tono come se avessero bisogno di essere aiutati a “capire meglio le cose”. L’orientamento, invece di essere radicato nella verità, è ideologico. In altre parole, ciò che stiamo affrontando oggi è un’ideologia dilagante di una forma perversa delle cure palliative che, chiaramente, include anche misure per far morire di fame persone indifese così da accelerare la loro morte. Per riassumere tutte le considerazioni e preoccupazioni della JAHLF relativamente alla medicina palliativa come gestita dalla PAV, concludiamo quanto segue:
Le cure palliative sono una pratica medica che può e dovrebbe incorporare un’integrazione delle dimensioni mediche, etiche e teologiche per la cura dei pazienti terminali. La pratica in alcuni ambienti cristiani del Regno Unito lo dimostra. Tuttavia, le considerazioni del Dr.Thiel alla conferenza sponsorizzata dalla PAV di novembre 2017, così come le posizioni espresse sull’eutanasia in alcuni articoli sull’autonomia del paziente e la presenza inquietante di alcuni membri del PDIA, il progetto finanziato da Soros (in particolare la Dott.ssa Kathleen Foley) nella nuova PAV, ci fa temere che la particolare versione di cure palliative che la PAV probabilmente promuoverà sia quella attualmente diffusa negli Stati Uniti e in molti altri paesi.
È il genere di cure palliative che comporta una violazione della sacralità della vita umana e l’introduzione di pratiche eutanasiche attraverso il rifiuto (o l’omissione volontaria) delle cure mediche richieste, anche di quelle più elementari. Ciò comporta spesso anche l’interruzione prematura dell’idratazione e della nutrizione (indipendentemente dai mezzi di somministrazione) quando il corpo del paziente assimila ancora sostanze nutritive e liquidi, che quindi diventano la causa diretta della sua morte. Questo non è altro che lasciare il paziente morire di fame.
Sedazione terminale ed eutanasia. Un’altra pratica spesso eseguita in unità di cure palliative e ospedali, è la “sedazione terminale”, cioè per evitare dolore (o, meno nobilmente, per alleviare il personale dai bisogni più esigenti dei malati terminali coscienti), i pazienti vengono privati di coscienza fino alla morte. Le politiche di sedazione terminale, anche quando non implicano la cessazione di alimentazione e liquidi (come si fa di frequente, inducendo all’eutanasia), comporta spesso il rischio di accelerare la morte (quando i tranquillanti e gli antidolorifici vengono somministrati a dosaggi eccessivamente elevati).
La sedazione terminale è anche immorale, tuttavia, quando non abbrevia la vita: perché è diretta contro la dignità della vita cosciente razionale. In una prospettiva spirituale cristiana, le pratiche di sedazione terminale sono erronee anche quando non hanno niente a che fare con l’eutanasia e anche quando non accorciano la vita umana di un solo secondo perché, togliendo la coscienza, privano i pazienti della dignità di vivere in modo adeguatamente umano e dignitoso gli ultimi giorni della loro approssimandosi della morte. Imporre la sedazione profonda terminale a persone umane, con l’intenzione di sottoporle ad incoscienza fino alla morte, al fine di risparmiare loro ansia e dolore, non è mai essere permesso.
La soppressione della coscienza è invece accettabile quando si tratta di un effetto collaterale non intenzionale del trattamento del dolore agonizzante (per es. in seguito a dispnea, delirio agitato), refrattario a misure meno radicali. Assodato che qualsiasi intenzione di sopprimere in parte o tutta l’esperienza cosciente nella fase finali del morire non è consentita, qualsiasi sia il trattamento che preclude al paziente di soddisfare i suoi obblighi morali / familiari finali, o di prepararsi coscientemente all’incontro con Dio.
Assodato che la sedazione terminale permanente e irreversibile è sempre sbagliata, assodato inoltre che i pazienti debbano essere aiutati ad accettare ed affrontare la sofferenza che può accompagnare la morte, in modo pienamente cristiano, la sedazione profonda temporanea può essere consentita in determinate condizioni. Come indicato nella dichiarazione del 1980 della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, sarebbe “imprudente imporre un modo eroico di agire come regola generale” o richiedere a tutti di subire in sommo grado le sofferenze finali della morte.
Lo stesso testo cita anche l’affermazione di Pio XII secondo la quale i farmaci per il dolore possono essere permessi, anche se influenzano la coscienza e potrebbero accelerare la morte (come un effetto collaterale non intenzionale), fintanto che non impediscono alla persona di svolgere i propri doveri religiosi e morali. Un ulteriore avvertimento è che non è giusto privare il morente della coscienza, anche solo temporaneamente, senza una seria ragione. La facilità con cui viene somministrata frequentemente la sedazione terminale ha molto a che fare con una visione del valore dell’esistenza umana basata principalmente sull’idea di una vita piacevole, confortevole e gradevole. Ma questa è una visione profondamente sbagliata del vero bene delle persone umane. Non ci sono forse valori legati alla vita e alla morte molto più profondi del benessere fisico?
Non sarebbe stato forse blasfemo se qualcuno avesse proposto di somministrare la sedazione terminale a Gesù sulla Croce, come se la morte senza dolore sia il bene più grande, e l’immenso valore della nostra redenzione, che richiedeva sofferenza cosciente e liberamente accettata, sia invece di nessun valore? In qualche modo ciò si applica a qualsiasi persona che muore coscientemente in preda ai dolori. Morire consapevolmente e vivere il dolore e l’angoscia della morte dà anche alla persona umana una preziosa opportunità di riconciliarsi con Dio (per i cattolici e i cristiani ortodossi ricevendo i sacramenti della confessione e dell’estrema unzione), di affidare la propria anima a Dio, di perdonare ai propri familiari, amici e nemici, e chiedere il loro perdono.
È anche un prezioso invito ad offrire la propria sofferenza e morte, unendole alla passione e morte di Cristo, affinché il proprio dolore non sia una sofferenza priva di senso, che dovrebbe essere abbreviata o evitata a tutti i costi. Piuttosto, morire una morte veramente umana e abbracciarla (spiritualmente parlando), può costituire un prezioso e supremo atto di amore e gloria a Dio, e un atto di carità per i propri famigliari e amici, che Papa Giovanni Paolo II ha spiegato magnificamente nel suo discorso agli anziani e ai sofferenti nella Liebfrauenkirche di Monaco di Baviera e nel suo magnifico documento Salvifici Doloris.