Le letture di questa Domenica ci invitano a riflettere su tre aspetti: uno, che è quello che accompagna tutto l’Avvento: la venuta del Signore; la gioia per questa venuta; la testimonianza.
È interessante questo trittico: la venuta del Signore procura gioia, ma vi è una testimonianza da dare, perché, come dice Giovanni Battista: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”. Il motivo della gioia allora è evidente, l’incontro con il Signore che viene in prima persona ad incontrare la nostra umanità è imminente, ma è anche un altro. Se questo Signore che viene appare, per certi aspetti uno sconosciuto, chissà come se lo immaginava a la gente, che ancora non conosceva Gesù, ascoltando quello che diceva Giovanni Battista, oggi ce viene svelato il volto, almeno ce ne vengono delineati alcuni tratti caratteristici.
La nostra riflessione parte proprio da qui. Noi sappiamo che questo sconosciuto è Gesù, ma siamo poi certi di conoscerlo così bene, di sapere chi è, o siamo rimasti, come cristiani, ancora all’ annuncio di Giovanni e ci comportiamo come quelli che sono stati inviati a lui da Gerusalemme, sacerdoti e leviti che presumevano di conoscere bene.
Ma chiediamoci e sarebbe importante farlo, cosa significa per noi conoscere Gesù? Anche perché è difficile attendere ciò che non si conosce. Intendendo questo termine non nel senso che intendiamo noi oggi . Il significato che ne dà qualsiasi dizionario serio di lingua italiana è ampio, ma cosa significa in senso biblico? La risposta la conosciamo è quella conoscenza in senso così profondo e intimo che avviene fra marito e moglie nella loro intimità sessuale. Una conoscenza unica che deriva da un rapporto irripetibile, profondo, che esprime l’ amore e la donazione che i coniugi fanno l’ uno all’ altro di sé, e che nel matrimonio cristiano è il segno che unisce Cristo e la Chiesa.
Se questa è la conoscenza significa essere protesi orientati l’uno verso
l’altro, come lo è Giovanni Battista nei confronti di Gesù.
Non so se questo sia il nostro rapporto “di conoscenza” del Signore o se il nostro rapporto sia quello di una conoscenza superficiale, occasionale, limitata a qualche momento o se, come dovrebbe essere, sia protesa alla ricerca continua dell altro, come dovrebbe avvenire nella vita coniugale. Quell’ altro che ci sta sempre davanti, ma che comunque ci sorprende sempre, proprio come fa il Signore, che viene in mezzo a noi in modo così insolito, al punto che non è così facile riconoscerlo. Certo noi non potremo mai conoscerlo in tutto quello che è, perché è Dio, ma abbiamo abbastanza indizi per tracciarne un identikit.
La prima lettura ne delinea i tratti caratteristici.
*È colmo di Spirito, investito della sua forza, consacrato ad un compito che è quello di annunciare, realizzare, testimoniare nel tempo e nella storia la fedeltà e la volontà liberatrice di Dio sull’ uomo, cioè togliere il peccato che rende schiavo l’uomo e ricondurlo a Dio e al suo progetto originario.
*È portatore di un lieto annuncio, annuncio di consolazione e di gioia per il popolo di Israele, ma anche per noi oggi, perché anche oggi vi sono miseri e poveri e quanti! Non solo quelli lontani, ma anche quelli vicini a noi e non solo stranieri. Ne sanno qualcosa le varie caritas con i loro operatori, di cui quasi nessuno parla mai, ai quali nessuno chiede un autografo, che in silenzio con tenacia, senza tanti sbandieramenti dei media aiutano quotidianamente tante persone. Forse nessuno si pone la domanda e se non ci fossero cosa accadrebbe.
Ma se non sono così ricordati dagli uomini certamente non saranno dimenticati da quel Signore che sta in mezzo a noi come sconosciuto.
*Anche oggi tanti sono i cuori spezzati, frantumati, dalle prove della vita, dalla solitudine, dal dolore, dalla sofferenza, dalla scomparsa di qualcuno che non ci sarà questo Natale. Cuori che hanno bisogno di quella consolazione e di quella speranza che né le forze, né i mezzi umani, né le parole umane riescono a dare.
*Quanti ancora sono i prigionieri e gli schiavi non solo per la condizione, ma per la schiavitù del peccato che priva l’uomo della conoscenza della verità e della vera libertà. Nessuna amnistia, può liberare l’uomo da questa schiavitù.
Questo sconosciuto promulga l’ anno di grazia del Signore! Ma cos’è questo anno di grazia? Vi è un tempo, che è quello che noi viviamo, ma come lo viviamo? Per tanti, ma anche per noi, spesso è un tempo sprecato.
Sprecato perché vissuto senza concedere quello spazio al Signore, che solo lo può trasformare in un tempo diverso. Un tempo in cui credere, sperare, amare, lottare perché nel nostro cuore si accenda una luce, quell’ unica luce che può illuminare i meandri bui che nessuna altra luce può illuminare. Quelli della disperazione di chi si sente inutile, abbandonato, sfiduciato, quelli che stanno fuori, alla finestra a guardare la grande passerella dei gaudenti di questo mondo, fra i quali vi siamo, forse anche noi.
Viviamo bene, quindi, questo tempo del discernimento, è una grazia che ci viene offerta per riconsiderare tutta la nostra vita di fronte ad un mistero: il Signore viene e con Lui la liberazione dalle catene della povertà, dall’ angoscia del dolore e della morte, dall’ ingiustizia, dall’ egoismo e, soprattutto, dal peccato, radice di ogni male e della nostra incapacità di amare Dio e il prossimo, ma che diventano non possibilità, ma certezza nella misura in cui saprò accogliere Colui che non vuole rimanere sconosciuto, ma intimo più che io a me stesso.
Questo è il motivo della nostra gioia!
La testimonianza di Giovanni che a chi gli chiede chi è, presumendo che possa essere lui il messia egli risponde: “Non sono”.
Che strano tutti gli uomini ambiscono ad essere qualcosa o qualcuno e Giovanni rimanda a qualcun altro, a quel qualcuno che sta in mezzo a noi e noi non conosciamo a sufficienza. Difficile questa umiltà! Noi vorremo essere sempre ognuno al di sopra dell’altro. Un autore ha scritto:
“Da ciò provengono tutti i pianti e tutti i lamenti che ci sono. Per questo non troviamo pace né interiormente né al di fuori. Questo essere niente procurerebbe invece in tutte le maniere, in tutti i luoghi, con tutti gli uomini una pace intera, vera essenziale, eterna, e sarebbe la cosa più beata, più sicura, più nobile che il mondo avrebbe”.
Impariamo da Giovanni Battista a preparare la via al Signore che viene!
Deo gratias, qydiacdon.