Venerdì scorso Avvenire ha offerto ai lettori in modo chiaro quella che sarà la svolta che si va preparando in ambito cattolico: un’apertura alla contraccezione. Luciano Moia, firma del quotidiano sensibilissima ai temi della famiglia e della bioetica, è da tempo impegnata contro i «fustigatori implacabili dei nostri giorni», cioè quelli che si ostinano a non vedere la dottrina cattolica evolvere sotto il fluire della storia.
L’occasione è un corso alla Pontificia Università Gregoriana che è servita al quotidiano dei vescovi per dire che «chi pensa che quanto scritto da Paolo VI in Humanae vitae sia per le coppie credenti un obbligo da perpetuare “nei secoli dei secoli” ignora non solo la storia della Chiesa, soprattutto quella dell’ultimo secolo, ma anche quanto detto dallo stesso pontefice riguardo all’opportunità di non considerare i contenuti dell’enciclica né infallibili né irreformabili».
Il tema è un vecchio cavallo di battaglia dei settori avanzati della Chiesa, vale a dire la questione dell’enciclica del beato Paolo VI Humanae vitae, quella comunemente conosciuta come il “no” alla contraccezione della Chiesa. Questo è il documento del magistero più discusso di tutto il post concilio, una faccenda che in confronto Amoris laetitia è un fatto in tono minore. Per Humanae vitae vi furono dibattiti, petizioni, e vere e proprie prese di posizione contrarie di intere conferenze episcopali (più o meno le stesse che oggi sono a favore di Amoris laetitia e il suo “paradigma” morale)
L’anno prossimo saranno 50 anni dalla promulgazione dell’enciclica avvenuta nel luglio del 1968. E come sappiamo c’è una commissione incaricata di studiare specialmente la vicenda della Pontificia Commissione, che lavorò dal 1963 al 1966. Per far riemergere la complessità e le varie posizioni, ma qualcuno dice per introdurre anche nel campo della contraccezione l’approccio di Amoris laetitia. “Caso per caso”, contraccezione sì, ma anche no, in funzione del discernimento e del rapporto tra responsabilità soggettiva e situazione oggettiva. Ricordiamo ai lettori che questa commissione, guidata da monsignor Gilfredo Marengo, è stata più volte indicata da diversi rumors vaticani, ma più volte celata ufficialmente.
In un’intervista del 4 luglio scorso proprio monsignor Vincenzo Paglia, attuale presidente della Pontificia Accademia per la vita, diceva a Luciano Moia su Avvenire che non c’era «proprio nulla» di vero nelle illazioni di chi sosteneva vi fosse «una commissione segreta per la “revisione” di Humanae vitae». Anzi, Moia faceva a Paglia anche l’elenco degli esperti che sarebbero stati impiegati nella commissione, tra cui i nomi di monsignor Pierangelo Sequeri, attuale preside del riformato “Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia” e lo stesso Gilfredo Marengo. Ma Paglia diceva, appunto, che in tutto questo non c’era «proprio nulla» di vero.
Con certa sorpresa, una ventina di giorni dopo su Radio Vaticana era lo stesso monsignor Marengo a rendere pubblica l’esistenza della commissione. Quelli che Moia aveva definito come “manipolatori mediatici”, perché preoccupati della “revisione” dell’enciclica, apprendevano da Marengo anche i nomi degli esperti, guarda caso i nomi di cui venti giorni prima nell’intervista di Moia a Paglia non si sapeva nulla. Con il coordinatore Marengo, i nomi resi pubblici sono, infatti, quelli di monsignor Pierangelo Sequeri, il prof. Philippe Chenaux, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense e mons. Angelo Maffeis preside dell’Istituto Paolo VI di Brescia. Tutti nomi che i “manipolatori mediatici” avevano regolarmente registrato da tempo.
Il 30 agosto Moia su Avvenire rassicurava il lettore sul compito della commissione finalmente resa pubblica. C’è da mettere in luce «un processo ecclesiale lungo e complesso, iniziato nel ’63 da Giovanni XXIII, proseguito con il lavoro della commissione, arricchito dalla decisione di Montini di coinvolgere poi nella riflessione la Congregazione per la dottrina della fede e la Segreteria di Stato». Tra le pieghe di questo lungo e complesso cammino, si opera per fare luce e far emergere tutte le posizioni. Un lavoro storico-critico che renda ragione dei “dubbi e delle incertezze” di Montini: «I complottisti si rassegnino», chiudeva Moia. «Qui non ci sono spunti per le loro fantasie malsane».
Lo scorso 20 ottobre però nell’ennesimo articolo di Moia le “fantasie malsane” dei complottisti possono trovare qualche altra scintilla per accendersi. Non si tratta di negare l’impianto dottrinale, scrive e rassicura Moia, ma «l’Humanae vitae andrebbe in qualche modo sviluppata, fatta crescere». Come? Mettendo «in sintonia il quadro normativo di Humanae vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris laetitia». Potrebbe così tornare in auge un vecchio dibattito che infiammò la Chiesa negli anni successivi alla pubblicazione dell’enciclica, ossia la questione circa l’infallibilità/fallibilità e irreformabilità/reformabilità dell’insegnamento di Humanae vitae.
Da che parte stanno Luciano Moia e Avvenire è ormai chiaro. Bisogna superare i “principi cristallizzati” in favore di «riflessioni e indicazioni calate in un naturale dinamismo collegato al cammino dell’uomo incarnato nella storia». Al di là delle parole, si affaccia così all’orizzonte la possibilità di prevedere una qualche forma di eccezione sull’unità inscindibile tra significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale. Siamo così al cuore del tema della contraccezione che finisce per essere in qualche modo sdoganata, assumendo il volto di una imprecisata evoluzione delle dottrina.
Lorenzo Bertocchi – la NBQ