L’interpretazione del cardinale Robert Sarah del Motu Proprio “Magnum Principium” non è corretta; lo spirito del documento pontificio è proprio quello di concedere per le traduzioni liturgiche quell’ampia autonomia e fiducia alle Conferenze episcopali che il cardinale Sarah vorrebbe limitare. A dirlo è proprio papa Francesco con una lettera autografa al prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti – il cardinale Sarah appunto – Era stata infatti proprio la Nuova Bussola Quotidiana a pubblicare il 12 ottobre la nota del cardinale Sarah che, tenendo conto di alcune reazioni già manifestatesi, proponeva una corretta interpretazione del Motu Proprio
Il Papa che chiede che la Nuova Bussola Quotidiana pubblichi la sua lettera dopo aver pubblicata la nota del cardinale Sarah: è un gesto, quello di papa Francesco, senza precedenti. E aldilà delle questioni di merito cui accenneremo, siamo certamente onorati e grati di questa attenzione del Santo Padre che oggettivamente conferisce alla NBQ l’autorevolezza di ospitare un dibattito su temi fondamentali per la vita della Chiesa che lo vede protagonista insieme ad alcuni cardinali.
Ma veniamo al tema della controversia: l’argomento è quello delle traduzioni dal latino dei testi liturgici in uso nei singoli Paesi. Le traduzioni (versioni ed eventuali adattamenti) vengono preparate dalle singole Conferenze episcopali che poi ne chiedono l’approvazione alla Santa Sede. L’esame della Santa Sede avviene attraverso due strumenti: la confirmatio e la recognitio, che il Motu Proprio vuole ridefinire. A questo punto ecco le diverse interpretazioni: secondo il cardinale Sarah confirmatio e recognitio sono differenti per l’effetto prodotto (confirmatio: sola traduzione della edizione tipica latina; recognitio: aggiunta di nuovi testi e modifiche rituali ovviamente non sostanziali), ma sono due atti identici dal punto di vista della responsabilità della Santa Sede. E dunque in entrambi i casi è possibile e richiesta una analisi dettagliata di tutto: nuovi testi, modifiche rituali, traduzioni dell’originale latino.
È evidente la preoccupazione del cardinal Sarah in qualità di prefetto della Congregazione per il Culto Divino: mantenere l’unità della Chiesa anche nella liturgia, pur rispettando l’autonomia dei vescovi dei singoli Paesi nell’elaborare la liturgia locale.
Il Papa però ora fa sapere che non è questa la mens del Motu Proprio che va invece nella prospettiva di una vera e propria “devolution” liturgica. Egli precisa infatti che i due procedimenti – confirmatio e recognitio – non sono identici e che nell’esercizio di queste due azioni si dà una responsabilità «diversa» sia da parte della Santa Sede, sia da parte delle Conferenze Episcopali:
- a) La recognitio «indica soltanto la verifica e la salvaguardia della conformità al diritto e alla comunione della Chiesa». È una frase un po’ ermetica ma che va probabilmente interpretata con le parole del commento con cui monsignor Artur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino, ha accompagnato la pubblicazione di Magnum Principium: «La recognitio (…) implica il processo di riconoscimento da parte della Sede apostolica dei legittimi adattamenti liturgici, compresi quelli “più profondi”, che le conferenze episcopali possono stabilire e approvare per i loro territori, nei limiti consentiti. Su questo terreno d’incontro tra liturgia e cultura, la Sede apostolica è chiamata dunque a recognoscere, cioè a rivedere e valutare tali adattamenti, in ragione della salvaguardia dell’unità sostanziale del rito romano».
- b) La confirmatio è l’atto sul quale la lettera papale centra di più l’attenzione. È detto chiaramente che il giudizio sulla fedeltà delle traduzioni con l’originale tipico latino è delle Conferenze Episcopali, «sia pure in dialogo con la Santa Sede». La quale Santa Sede, nel concedere la confirmatio, non attuerà più «un esame dettagliato parola per parola», eccetto casi evidenti di formule rilevanti come le preghiere eucaristiche o le formule sacramentali. Insomma molta più libertà alle conferenze episcopali.
Nella lettera al cardinal Sarah poi, il Papa spiega che vanno ricomprese o abrogate alcune parti di Liturgiam Authenticam (2001), il documento normativo per le traduzioni attualmente in vigore. «Vanno attentamente ri-compresi» i nn. 79-84, che riguardano l’approvazione della traduzione e la recognitio della Sede Apostolica; «sono decaduti» invece i nn. 76 e 80. Quest’ultimo è incentrato sulla recognitio, ed è stato ovviamente riformulato, mentre il n. 76 richiedeva alla Congregazione di partecipare «in maniera più stretta al lavoro di preparazione delle traduzioni nelle principali lingue».
Un ulteriore passaggio della lettera del Papa richiede attenzione. Dice infatti che «Il Magnum Principium non sostiene più che le traduzioni devono essere conformi in tutti i punti alle norme del Liturgiam Authenticam, così come veniva effettuato nel passato». Tale affermazione unita all’altra secondo cui una traduzione liturgica “fedele” «implica una triplice fedeltà» – al testo originale, alla lingua della traduzione, alla comprensibilità dei destinatari – lascia intendere che Magnum Principium è inteso come l’inizio di un processo che può portare molto lontano.
E sta qui l’importanza di questa controversia che vede il Papa smentire il cardinale Sarah, il quale non fa altro che muoversi sulla linea tracciata da Benedetto XVI. Non c’è dubbio infatti che con lo “spirito” di Magnum Principium, precisato e accentuato dalla lettera papale che qui pubblichiamo, la tendenza sarà di avviarsi verso Messali nazionali sempre più differenti tra di loro, verso uno “spirito liturgico” sempre meno condiviso.
La questione va oltre l’aspetto meramente liturgico e, come ha più volte sostenuto il cardinale Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, riguarda la concezione di Chiesa, e la comprensione che la Chiesa ha di se stessa. In discussione è soprattutto il ruolo e il potere delle Conferenze episcopali, a cui papa Francesco intende dare «anche qualche autentica autorità dottrinale» (cfr. Evangelii Gaudium no. 32).
Al contrario, già nel libro-intervista con Vittorio Messori – “Rapporto sulla fede” (1985) – il cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, commentando positivamente la valorizzazione del «ruolo e della responsabilità del vescovo» voluta dal Concilio Vaticano II, lamentava la deriva post-conciliare: «Il deciso rilancio del ruolo del vescovo si è in realtà smorzato o rischia addirittura di essere soffocato dall’inserzione dei presuli in conferenze episcopali sempre più organizzate, con strutture burocratiche spesso pesanti. Eppure non dobbiamo dimenticare che le conferenze episcopali non hanno una base teologica, non fanno parte della struttura ineliminabile della Chiesa così come è voluta da Cristo: hanno soltanto una funzione pratica, concreta». Il collettivo non sostituisce la persona del vescovo. Questo è un punto decisivo «perché – diceva il cardinale Ratzinger – si tratta di salvaguardare la natura stessa della Chiesa cattolica, che è basata su una struttura episcopale, non su una sorta di federazione di chiese nazionali. Il livello nazionale non è una dimensione ecclesiale. Bisogna che sia di nuovo chiaro che in ogni diocesi non c’è che un pastore e maestro della fede, in comunione con gli altri pastori e maestri e con il Vicario di Cristo».
Riccardo Cascioli – La NBQ
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Assistiamo all’ opera di disgregazione , dopo quella del sacramento del matrimonio, della penitenza e dell’ accesso alla SS. Eucaristia con le dovute disposizione, anche a quello della sacra Liturgia!( J De Mola