Aprire le pagine di un quotidiano nazionale e scoprire che chi non sostiene lo ius soli e lo ius culturae è gretto, xenofobo e imbevuto di «pregiudizi colmi di vergognoso razzismo». Scoprire in altre parole che, salvo le Americhe, e anche lì neanche tutti i paesi, in pratica tutto il mondo è vergognosamente razzista perché invece applica lo ius sanguinis, cioè attribuisce ai bambini la cittadinanza dei loro genitori.
L’articolo spiega che se non passasse l’attuale legge in discussione, già approvata dalla Camera ma ferma al Senato, nessuno «diventerebbe mai italiano per il solo fatto di nascere nel Bel Paese». Sarebbe – commenta l’autore – un gravissimo atto di cecità e di ingiustizia «mantenere nel limbo di una non riconosciuta cittadinanza» i bambini e i ragazzi stranieri che vanno a scuola in Italia e i figli nati in Italia di stranieri che «qui lavorano, pagano tasse e contributi e non hanno guai con la giustizia», bambini e ragazzi respinti e marginalizzati, di cui oggi si «umiliano l’italianità e il legittimo sentimento di appartenenza che ne discende» generando in loro «sofferenza e ostilità», sentimenti che «picconano ogni patto civile, minano la solidarietà. Una imprevidenza incredibile, un’imprudenza grave».
A quei bambini, a quei giovani Avvenire – questo è il giornale – per mesi ha dato un volto, spiega l’autore dell’articolo, il direttore Marco Tarquinio, pubblicando ogni giorno le loro storie fatte di «attese e speranze, fatiche e impacci», raccontate con «parole di carne e sangue, di anima e di cuore, di sudore e di intelligenza».
Di che Italia, di che Italiani e di quali bambini parli Tarquinio, è il primo pensiero che viene in mente, perché i bambini stranieri in Italia non sono respinti né marginalizzati. Godono degli stessi diritti, delle stesse libertà e usufruiscono degli stessi servizi dei bambini italiani. L’unico diritto negato agli stranieri è il voto, diritto che anche gli italiani maturano solo al compimento dei 18 anni. Ma, raggiunta quell’età, i figli di stranieri nati in Italia e residenti stabilmente in Italia hanno facoltà di scegliere se mantenere la cittadinanza dei loro genitori oppure diventare cittadini italiani.
Se poi di razzismo si vuole parlare, il momento in cui il dibattito sullo ius soli e la proposta di introdurlo in Italia sono nati deve far pensare. Gli stranieri di cui si calpesterebbero i diritti sono infatti quasi tutti originari di paesi africani e asiatici. Dice bene allora il giornalista Rodolfo Casadei quando scrive che le preoccupazioni dei sostenitori dello ius soli hanno «il sapore del disprezzo per la cultura e la nazionalità altrui. È come se dicessero: “Poverini, gli tocca restare marocchini, gli tocca restare albanesi, è intollerabile!”. Ma chi ha stabilito che la nazionalità italiana è così superiore a quella egiziana, o peruviana, o filippina, che negarla troppo a lungo a qualcuno diventa un delitto di lesa civiltà? Dopo tante prediche multiculturaliste, il velo del politically correct cade e si vede quello che i progressisti pensano veramente: le altre nazionalità sono talmente inferiori alla nostra che prima ne liberiamo gli stranieri e meglio sarà per tutti».
Merita sottolineare che non «le altre nazionalità» bensì «certe» altre nazionalità sono evidentemente giudicate inferiori. Mai, infatti, si è sentito descrivere con i toni usati da Avvenire – italianità umiliata, parole di carne e sangue, sudore e intelligenza, esistenze costrette in una sorta di limbo… – la condizione e il destino dei bambini stranieri residenti in Italia figli di genitori canadesi, neozelandesi o australiani. Né d’altra parte si è mai temuto che, rimandando la scelta, affidando a loro, una volta raggiunta la maggiore età, la decisione se diventare italiani o conservare la nazionalità dei genitori, si suscitino nei giovani stranieri pericolosi sentimenti di estraneità e ostilità. Detto in altre parole, a nessuno è mai venuto in mente che dei bambini canadesi, neozelandesi o australiani possano sviluppare tale e tanta ostilità nei confronti degli Italiani da costituire un problema, magari persino scegliere di diventare terroristi.
«Sguardi cattivi e atti di respingimento e marginalizzazione non generano altro che sofferenza e ostilità» scrive Tarquinio. Per sua pace, dovrebbe andare davanti a qualche scuola ogni tanto, quando sta per suonare la campanella o alla fine delle lezioni. Vedrebbe allora bambini e ragazzi stranieri festanti, che chiacchierano e scherzano con i loro compagni italiani, vestiti più o meno allo stesso modo, inconsapevoli, si direbbe, delle preoccupazioni di chi li immagina tristemente rassegnati a essere «diversi», «marginalizzati» e «respinti», rosi dall’ansia del domani, sempre temendo che da un giorno all’altro possano essere mandati via.
Anna Bono in La NBQ