In attesa dell’ennesimo pronunciamento dei tribunali inglesi – previsto per oggi o domani – è chiaro quello che è avvenuto finora: non c’è mai stato nulla di oggettivo nella decisione dei medici, degli avvocati e dei giudici, che si stanno battendo per la sospensione dei mezzi di sostentamento vitale (ventilazione, nutrizione ed idratazione) di Charlie Gard così da provocarne la morte immediata per soffocamento.
A generare la confusione sulla vicenda è la presenza di norme e di opinioni ideologiche per cui non è più l’oggettività della legge naturale (unica reale protezione dell’uomo contro ogni potere) a dettare i procedimenti clinici, giuridici e umani in generale ma i criteri fluttuanti dell’Occidente individualista. Basti pensare che Victoria Butler-Cole, uno dei legali del GOSH, l’ospedale che ha negato ai genitori del piccolo inglese di portare il figlio in America, dove un équipe di medici si era offerta di tentare una terapia che ha già aiutato altri pazienti affetti dalla stessa patologia, in un altro caso in cui le parti erano ribaltate aveva difeso i familiari di un uomo in stato di minima coscienza che lo volevano morto. Grazie all’avvocato la moglie del malato ne ha recentemente ottenuto la morte per fame e sete, privandolo di cibo e acqua contro il parere medico. Ugualmente Butler-Cole, sta difendendo una donna che vuole la morte della figlia ormai da 20 anni alimentata con il sondino sempre in opposizione ai medici.
Ma come se nel caso di Charlie i dottori che lo hanno in cura vengono presentati dai media e dai giudici come gli unici competenti in grado di giudicare? E’ chiara l’ipocrisia usata nel caso Gard per sposare una visione a senso unico secondo cui la vita vale solo entro certi standard, tanto che non è un caso se è poprio Butler-Cole ad essere chiamata da parenti o medici pro eutanasia. L’avvocato, definita lo scorso gennaio dal Time una dei legali migliori della Gran Bretagna, ha spiegato al giornale la sua battaglia per l’autodeterminazione e le Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento).
A favore dell’eutanasia passiva, convinta che una vita spesa in un letto senza poter agire, oppure sofferente, non sia tale, Butler-Cole ha continuato come se nulla fosse: “Quando la Corte (attenzione nemmeno i genitori o i medici, ndr) decide che non è nell’interesse di una persona continuare a ricevere la nutrizione e l’idratazione artificiali (come li definisce lei, sebbene di artificiale il cibo e l’acqua abbiano ben poco, ndr), queste vengono sospese e la persona muore lentamente di disidratazione”. Infine, quando le è stato chiesto per che cosa le piacerebbe essere ricordata la donna ha chiarito: “Per il mio impegno con l’associazione Compassion Dying (a favore dell’eutanasia passiva), che incoraggia le persone a scrivere le proprie decisioni anticipate di trattamento (…) e come qualcuno che non ha mai smesso di credere che dovremmo tutti provare a rendere il mondo un posto migliore”.
Si capisce dunque l’ostinazione di una donna convinta che eliminare la sofferenza e una vita improduttiva sia migliorare il mondo. Azione per cui cui vale la pena continuare a combattere contro l’egoismo di due genitori che invece lo peggiorano ammettendo che il figlio pur di vivere possa soffrire. Ovviamente per raggiungere il suo scopo l’avvocato ha eliminato anche la possibilità che il trattamento sperimentale possa aiutare Charlie come avvenuto in altri casi.
Ma la stessa tenacia si ritrova anche in Nicholas Francis, il giudice dell’Alta Corte schierato con i medici, che lunedì scorso non è stato disposto a cambiare idea nemmeno di fronte ad altri pareri tecnici favorevoli alle cure sperimentali, scegliendo di non dare nessuna nuova possibilità al piccolo a meno che gli si dimostri con certezza massima, sempre difficile da raggiungere in campo medico, che la terapia funzionerà. Tutto ciò mentre i legali dell’ospedale, durante l’udienza, chiedevano ai giudici di impedire ai genitori del piccolo di chiedere ulteriori documenti all’ospedale, perché in questo modo avrebbero subissato di lavoro (secondo loro inutile) il personale clinico. Un altro legale del GOSH, Katie Gollop, ha dichiarato che sarebbe “un problema per il sistema informatico ospedaliero, chiedere a una persona ore e ore di lavoro”.
Questi e il giudice Francis sono infatti convinti che esistano solo gli individui che si autodeterminano e lo Stato che ne regola la convivenza nel caso in cui questa autodeterminazione sia in pericolo. Non a caso, nel 2014, Francis dichiarò che il matrimonio e la famiglia erano giuridicamente equiparabili a qualsiasi altro tipo di convivenza sociale di individui, facendo fuori la società naturale e la sua legge. Secondo questa visione non occorre dunque essere a priori a favore della famiglia e della decisione dei parenti nel caso di conflitti medico-paziente, intervenendo solo nel caso in cui si ponessero contro la legge naturale. Perciò Butler si è schierata dalla parte della donna che ha chiesto l’eutanasia passiva del marito in stato di minima coscienza, appellandosi al diritto di non accanimento terapeutico, mentre ora è dalla parte di un’ospedale che chiede lo stesso contro la volontà della famiglia. E ieri sera un altro caso, portato alla ribalta dalla BBC, dimostra una volta di più la schizofrenia di una società che ha perso il riferimento della legge naturale: in un video agghiacciante, una madre, Juliet Flower, chiede di porre fine alla vita della figlia Rose, 10 anni, affetta da una grave malattia genetica, in nome di una qualità della vita non adeguata.
E’ dunque evidente che senza il riconoscimento di una legge oggettiva, di un bene e di un male da rispettare in ogni caso e sempre si generano mostri giuridici come le Dat, che relativizzano la vita mettendola nelle mani dell’opinione che ha su di essa il più forte in campo. In Italia anche chi è dalla parte di Charlie in certi casi sostiene che la soluzione sia una legge, dimenticando che è proprio questa (in Inghilterra le Dat esistono appunto dal 2005) che ha trascinato automaticamente in tribunale i genitori di Charlie. Senza le Dat, infatti, il parere contrario dei medici non sarebbe bastato a innescare un procedimento giudiziario. Questi avrebbero dovuto rispettare la volontà della famiglia, a meno che non fosse stata contraria alla vita. In questo caso i medici si sarebbero potuti appellare non all’autodeterminazione sancita dalle Dat, ma alla legge naturale protetta dal codice penale.
Dunque non è legiferando in questi campi, ma solo lottando affinché si continui a rispettare il bene oggettivo, per cui bisogna sempre agire a favore della vita contro atti di eutanasia passiva o attiva, e dunque affinché non sia approvata alcuna norma a favore dell’autodeterminazione (un boomerang dato che l’uomo è per natura dipendente dai rapporti), che si tutela la persona da qualsiasi relativizzazione ideologica che provenga dai medici o dai parenti. Motivo per cui, anche nel caso di Charlie, il problema non sta nella difesa del diritto dei genitori a decidere dell’esistenza o della morte di un figlio, ma nella tutela da parte del bene oggettivo che è la vita, pur messa in discussione dal pietismo che non sopportando la sofferenza preferisce eliminare chi la vive. Se infatti, in linea generale, gli ordinamenti democratici avevano sempre tutelato le famiglie era solo perché normalmente sono queste ad avere più a cuore la vita del parente malato. Tanto da prevedere interventi da parte della magistratura solo nel caso in cui la famiglia o i medici agissero contro la vita.
Non è vero dunque che per giudicare il caso Gard ci vuole conoscenza medica approfondita e che si tratti di una zona grigia dove è meglio non schierarsi. Perché è evidente che questo bambino continua a esistere grazie alla ventilazione, al cibo e all’acqua, senza cui ciascuno di noi, sofferente o meno, morirebbe. Privarlo degli alimenti e dell’ossigeno sarebbe porre fine alle sue sofferenze uccidendolo deliberatamente. Se infatti si trattasse di accanimento terapeutico Charlie sarebbe già morto e comunque morirebbe anche nel caso di cure sperimentali. Intanto il piccolo vive generando vita. E non servono leggi complicate o altre prove scientifiche per mettere in discussione ciò che è evidente.
Benedetta Frigerio
In La NBQ