Il presidente francese Emmanuel Macron, al summit di Bamako con i cinque paesi del Sahel, ha assistito alla nascita di una nuova coalizione militare, la Forza G5. E’ composta da contingenti militari di Burkina, Mali, Niger, Ciad, Mauritania e dovrà appoggiare unità francesi nella lotta agli jihadisti nel Sahel, sempre più numerosi, agguerriti e attivi nella tratta degli esseri umani verso il Mediterraneo. Lo sforzo francese nella lotta al jihadismo è rivolto all’estero, in Africa, Medio Oriente e Asia, ma il problema è anche in casa. Soprattutto in casa.
Una recente mappatura del panorama jihadista francese, del ministero dell’Interno, rivela la presenza di almeno 11mila persone radicalizzate e potenzialmente terroriste. Secondo fonti de Le Journal de Dimanche, la cifra sale a 15mila uomini. Purtroppo non è solo un problema della Francia. In questo database, almeno 4mila sono considerati elementi a forte rischio terrorismo che potrebbero condurre un attacco nel prossimo futuro. Queste sono stime che potrebbero addirittura risultare al ribasso. Secondo altri sondaggi riportati dall’Institut Montaigne, i salafiti in Francia sono circa 20mila uomini. E sono tutti possibili radicali islamici.
Quando l’Isis occupò l’Iraq occidentale, disponeva di una forza complessiva stimata in 15-20mila uomini. La Francia non è l’Iraq, d’accordo. Non è un paese diviso da scontri settari, non ha una maggioranza musulmana, non è destabilizzato da un decennio di guerra e conflitto civile. Tutto vero. Ma sono cifre che fanno riflettere. Un esercito clandestino di 4mila potenziali terroristi è già troppo grande per poter controllare i sospetti ad uno ad uno. Una guerriglia in Francia non è mai stata presa in considerazione. Gli jihadisti sono troppo dispersi e disorganizzati per condurla. Ma gli attentati, come si è visto nel biennio nero della Francia 2015-2016 sono sempre più frequenti. Gli islamici radicalizzati, poi, si contano a centinaia di unità concentrate in singole aree calde. Secondo i dati del Ministero degli Interni francese, nell’area di Parigi (Ile de France) si annida la minaccia peggiore. Ci sono 812 individui radicalizzati nella capitale, quasi 900 nelle Banlieue settentrionali, più di mille nei sobborghi meridionali. In tutto sono quasi 3000 individui pericolosi nella sola area di Parigi. Per conquistare Mosul, all’Isis sono occorsi circa la metà degli uomini. Nel Sud della Francia ci sono altri 1400 individui radicalizzati dai Pirenei alle Alpi. Nel Nord e sul Passo di Calais sono quasi 900. C’è solo da sperare che colpiscano alla spicciolata e che non vi sia alcun “risveglio” della coscienza islamica in Francia, così come è avvenuto in paesi laici mediorientali. Altrimenti è difficile che i pur efficienti servizi di sicurezza francesi possano tenere sotto controllo una sollevazione di queste dimensioni.
Il problema si limita alla sola Francia? Purtroppo no. Secondo fonti di intelligence citate dal quotidiano britannico The Times, nel Regno Unito gli elementi radicalizzati sarebbero addirittura 23mila. Più che in Francia, dunque. Secondo fonti del quotidiano Le Soir, nel piccolo Belgio sono sotto sorveglianza quasi 19mila persone, schedate come possibili elementi radicalizzati. In Germania, i dati aggiornati dall’Ufficio della protezione della Costituzione parlano di 10mila potenziali jihadisti. Sia in Belgio, che in Gran Bretagna che in Germania, i potenziali jihadisti e, in generale, i musulmani radicalizzati, sono concentrati in aree urbane critiche. In Belgio a Molenbeek, Bruxelles, in Germania nella Renania e ad Amburgo, in Gran Bretagna a Londra e nelle città del Nord dell’Inghilterra (come Manchester e Bradford). Questi numeri permettono di spiegare molto meglio il fenomeno terroristico. Gli attentati islamici sono più frequenti là dove gli jihadisti potenziali raggiungono una massa critica di migliaia di uomini e soprattutto là dove i terroristi possono nuotare come pesci in un mare nelle enclave urbane di radicalizzati, pronti a coprirli, attivamente o anche solo ideologicamente. Quando ci si interroga sul perché gli jihadisti abbiano colpito in Gran Bretagna, Francia, Germania e Belgio, ma non in Italia, questa può essere una spiegazione. Da noi non c’è ancora una massa critica di potenziali jihadisti che raggiunge le migliaia di unità e soprattutto non ci sono (ancora) le enclave di islamici radicali.
Lo Stato Islamico è consapevole di questa sua forza potenziale in Europa. Nei suoi manuali, soprattutto Black Flags from Rome, progetta (per ora è meglio dire: sogna) una guerriglia urbana. Una libanizzazione delle città europee, praticamente, in cui interi quartieri diventano emirati islamici, autosufficienti, armati e comandati da emiri locali, e lottano compatti contro quartieri non musulmani. Si è visto qualcosa di simile ai desiderata dell’Isis nel quartiere di Bruxelles di Molenbeek, quando la popolazione locale ha opposto resistenza alla polizia che andava ad arrestare i terroristi di Parigi. Si vede qualcosa di simile anche nelle rivolte delle Banlieue parigine o dei quartieri più multiculturali a Stoccolma. Ma questo scenario di libanizzazione è ancora molto lontano. Per motivi politici e organizzativi. Manca un leader, una struttura paramilitare e soprattutto una “coscienza di classe” (come avrebbero detto i rivoluzionari marxisti) capace di unire combattenti e popolazione locale. Perché, i numeri, invece, ci sarebbero già tutti.
Stefano Magni
In La nuova Bussola Quotidiana