“Andate, in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”, leggiamo alla fine del Vangelo di Marco. Questa è la missione di ogni discepolo di Gesù, questa è la missione della Chiesa a cui appartiene ogni battezzato. È quel essere profeti non di una generica buona notizia, ma
dell’unica, vera buona notizia per ogni uomo!
Anche se ciò può procurarci quello che è accaduto a Geremia, cioè insulti e derisioni. Anzi il profeta medita persino di ritirarsi dalla sua missione, ma Dio non lo abbandona, interviene e anche fra le difficoltà ecco che rinasce, in un grido la fiducia.
Ma noi oggi siamo fedeli al compito che il Signore ci affida o siamo piuttosto reticenti e abbiamo timore di proclamare pubblicamente la verità del Vangelo?
A me sembra che molti cristiani abbiano paura di professarsi tali, non esitino a lasciarsi andare ad una logica del mondo che non ha più niente a che fare con il Vangelo, anzi che si cerchi di annacquare il Vangelo, di sussurrarlo, bisbigliarlo perché non deve fare troppo clamore, non deve disturbare troppo gli animi, le coscienze. Si rimane ambigui, si lascia alla soggettività di ognuno e così ci si smarrisce, nasce la confusione. A questo stiamo assistendo!
Al discepolo di Gesù non è consentito tirarsi indietro, ne sono ben consapevoli tutti coloro che pagano di persona, sulla loro pelle e con la loro vita la fedeltà al Vangelo, diventando un annuncio vivente.
E non illudiamoci il Vangelo e i cristiani autentici danno fastidio! Sono tanti i fatti che lo indicano. Ad esempio il caso, di cui si è venuto a conoscenza in questi giorni, di don Livio, direttore di Radio Maria, sospeso dall’ ordine dei giornalisti per sei mesi per essersi espresso a suo tempo sulla relatrice della legge sulle cosiddette Unioni Civili.
Non è un caso che in Spagna, come leggevo in questi giorni, il Governo stia stilando una lista di immobili ecclesiastici di proprietà della Chiesa per verificare la reale proprietà. Un tentativo di mettere in discussione una legge del ’46 che nasceva per risarcire la Chiesa cattolica degli espropri operati dalla massoneria, ma che ora potrebbe essere usata in chiave di limitazione della libertà religiosa.
Le forme di ostilità all’ annuncio evangelico sono molteplici: pressioni sociali, contrasti, violenze, chiusure, fino allo spargimento del sangue, eppure il cristiano non può tacere come ci testimoniano gli Atti degli Apostoli: “noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito” dicono Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio aggiungendo: “se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi”. Oggi sembra piuttosto, che si abbia più paura degli uomini che di Dio e si è disposti a perdere l’anima senza renderci conto che alla fine si perderà tutto.
Sembra che si viva una fede sotterranea e anziché annunciare rimaniamo “muti”, altroché gridare sui tetti…
Quello che Gesù chiede sembra superiore alle nostre forze? Può esserlo!
Ma Gesù ci rassicura: “Non abbiate paura”, questa espressione che abbiamo sentito tante volte anche sulla bocca di S. Giovanni Paolo II. È la stessa frase che l’angelo, la mattina di Pasqua rivolge alle donne.
Dio veglia su ogni creatura e, se ha cura dei passeri, “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio… Non abbiate paura: valete più di molti passeri!” (Lc 12,6-7) e se Dio: “Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?” (Mt 6,30).
Il Signore dice queste cose, richiamando la Provvidenza di Dio, per rincuorarci, per darci fiducia anche nei momenti più disperati della nostra esistenza. Tutto e nelle sue mani e se è così non dobbiamo temere, anche quando ai nostri occhi diventa incomprensibile. Nulla rimane nascosto a Dio: “nemmeno quanti sono i capelli del nostro capo”.
Annunciare il Vangelo significa riconoscere Gesù risorto presente nella nostra vita, in parole e in opere.
Il Card. Biffi diceva: che la nostra vita temporale e la nostra eternità non si giocano su delle idee, non su dei valori, non su dei sentimenti di solidarietà di dialogo e di pace, ma dalla nostra fedeltà al Figlio di Dio, morto e risorto e del nostro rendergli testimonianza davanti agli uomini, a tutti gli uomini.
Gesù non ci ha proposto altro che un rapporto totalizzante con Lui, questo significa riconoscerlo, affinché anche noi veniamo a nostra volta riconosciuti.
Proviamo ad immaginare per un attimo se quando noi ci presenteremo davanti a Lui, voltandosi altrove dicesse: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!».
Il Vangelo, di oggi ancora una volta, ci pone di fronte a un grande richiamo in un momento in cui sembra prevalere nella Chiesa un certo perdonismo.
Tutti noi abbiamo una grande responsabilità in ordine all’ annuncio del Vangelo, al riconoscimento del Signore Gesù come il cuore della nostra vita e della nostra esistenza. La morte e la risurrezione di Gesù ci interpellano sulla vita e sulla morte, tra benedizione, cioè ciò che fa crescere, e maledizione, ciò che fa diminuire, di questo noi siamo chiamati a dare testimonianza, e gridarlo al “mondo”, “anche se lo spirito del mondo” vuole soffocare il nostro grido.
Allora vorrei concludere con queste parole:
“Fammi testimone del tuo Vangelo, Signore! Dammi coraggio per non negare di conoscerti, quando i colleghi, i familiari ridono parlando di te come un mito e dei tuoi seguaci come alieni.
Dammi la gioia di sapermi con te, quando resto isolato dagli amici che ritengono una perdita di tempo la preghiera e l’Eucaristia.
Dammi di superare ogni rispetto umano per non vergognarmi del Vangelo, quando essergli fedele comporta il sentirmi “diverso” dalla grande folla che fa opinione e costume”
Deo gratias, qydiacdon