Non sembra conoscere soste la campagna dei sostenitori di quella “cultura della morte” che vede nella facilità di procurare l’aborto uno dei capisaldi irrinunciabili. E’ fin troppo facile, ad esempio, imbattersi in siti pronti a riportare l’”odissea” di donne alle quali sarebbe stata negata la pillola dei cinque giorni dopo, definita “contraccezione d’emergenza”, causa di vere e proprie interruzioni di gravidanza, perché il farmaco impedisce, nella maggior parte dei casi, non l’ovulazione bensì l’impianto dell’embrione. Storie che contrastano con la realtà dei fatti e dei numeri, in questo caso quelli forniti da Federfarma sul boom di vendite della pillola: oltre 200.000 confezioni vendute nel 2016, quasi una ogni due minuti.
Come stanno le cose? Lo abbiamo chiesto a Piero Uroda, presidente dell’Unione farmacisti cattolici italiani.
“Per quanto mi riguarda, non l’ho mai venduta, non la ordino e non la tengo in farmacia… Ma non mi sembra che ci siano grandi difficoltà a procurarsela”.
Siamo di fronte a una “privatizzazione”, a una banalizzazione dell’aborto?
“E come definirlo altrimenti? E’ vergognoso il modo di affrontare la sessualità con la paura dei figli, che diventano un problema per l’impegno che richiedono, per le difficoltà lavorative… Purtroppo sta diventando un luogo comune e tante persone si adeguano a un atteggiamento di arrendevolezza, al ‘tanto lo fanno tutti’. Il nostro impegno, al contrario, deve essere quello di non collaborare con chi fa il male, perché bisogna avere il coraggio di chiamarlo con il suo nome. Libertà non significa danneggiare altre persone”.
Da un punto di vista farmacologico qual è la verità?
“Che sono pillole pericolosissime ma la tossicologia viene nascosta. Pensate alla normale pillola contraccettiva che inibisce l’ovulazione: sono elencate una serie di controindicazioni. Sarà anche per evitare richieste di risarcimento danni ma una base scientifica esiste. E qui? Purtroppo di fronte alla volontà di non avere un figlio, qualsiasi altro rischio che si corre passa in secondo piano”.
Qual è la sua esperienza diretta?
“Ho trovato praticamente sempre una totale chiusura. Delle tante persone con cui ho provato a parlare ricordo solo una signora che si lasciò convincere a tornare indietro. Il fatto è che quando si indossano i paraocchi non si vuole accettare la possibilità di percorre altre strade”.
Dal 2015 non c’è più l’obbligo di ricetta. Questo ha favorito la diffusione della pillola dei cinque giorni dopo: con quali conseguenze?
“Che vengono minimizzati i rischi. Le donne non pensano possa fare male: più si rende facile una cosa, più si pensa che non ci siano controindicazioni. E’ un doppio inganno. Viene assunta con estrema noncuranza e non si vogliono nemmeno conoscere i pericoli che si corrono”.
C’è poi un problema di obiezione di coscienza per i farmacisti. Dopo l’assoluzione della dottoressa di Trieste nello scorso dicembre a che punto siete?
“Stiamo preparando un secondo convegno su questo aspetto. Il diritto c’è ma non è regolato. Dovrà essere necessariamente regolamentato, bisognerà arrivare ad avvisare il rispettivo Ordine di appartenenza anche per far capire quanti sono disponibili a dispensare tali pillole. Stiamo cercando di far accettare e difendere questo principio ai dirigenti della Federazione degli Ordini e di Federfarma. E’ anche un riconoscimento di professionalità: l’obiezione è un diritto riconosciuto a medici e infermieri, non si capisce perché a noi debba essere negato”.
E a proposito di obiezione, torna ad essere nel mirino quella dei medici. Questa volta la “bacchettata” all’Italia arriva niente meno che dal Comitato per i diritti umani dell’Onu secondo il quale è difficile accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza, regolati dalla legge 194, a causa “dell’alto numero di medici che rifiutano di praticare aborti per ragioni di coscienza”. Il risultato di queste difficoltà, avverte il Comitato, è “un numero significativo di aborti clandestini”. Richiamo stucchevole che ricorda la querelle del ricorso della Cgil respinto dal Consiglio d’Europa lo scorso anno perché basato su dati vecchi. In Italia, purtroppo, è fin troppo facile abortire. Piuttosto sorprende che si prenda atto del “numero significativo di aborti clandestini”. E’ la prova che il fenomeno non è affatto scomparso con la 194, contrariamente a quello che volevano fare credere i suoi sostenitori. E non perché ci sono troppi obiettori: molto spesso ci troviamo di fronte ad altre motivazioni, per esempio di tipo culturale.
Quanto all’Onu, una breve considerazione. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è la “magna charta” delle Nazioni Unite. L’articolo 3 recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita”. Evidentemente non vale per chi non è ancora nato.
Da In Terris