Fabiano, noto come dj Fabo, rimasto cieco e tetraplegico dal 2014 in seguito ad un incidente stradale e volto della campagna pro eutanasia dell’associazione Luca Coscioni, è stato aiutato a suicidarsi in una clinica svizzera dell’associazione Dignitas. Ad accompagnarlo è stato il politico radicale Marco Cappato che ne ha dato notizia via Twitter.
Un evento raccontato in maniera estremamente scorretta, nel quale le imprecisioni ne hanno favorito una lettura emotiva e non ragionata dei fatti.
Anzitutto, Dj Fabo non era un paziente terminale dilaniato dalle sofferenze fisiche. Era, si, in una situazione serissima e umanamente dolorosa, ma la malattia e l’accanimento terapeutico non c’entravano affatto col suo stato.
Secondo aspetto: la prassi procedurale. Come ha fatto notare sul suo blog Giuliano Guzzo, la stessa Dignitas, tiene a precisare che «per ogni singolo caso, un viaggio di questo genere, il colloquio con un medico, la redazione di una ricetta e il suicidio assistito è preceduto da un iter Dignitas che normalmente richiede fino a tre mesi, ma che può durare anche più a lungo. Solo dopo questa procedura preparatoria, entro tre o quattro settimane, potrà aver luogo il suicidio assistito».
Ora, come sappiamo Dj Fabo è morto due giorni fa, lunedì 27 febbraio. Una data non casuale: è lo stesso giorno in cui era stato calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati, l’inizio della discussione del disegno di legge sulle direttive anticipate e sul consenso informato (il Ddl sul biotestamento).
Ora, possibile che una morte che richiede – secondo Dignitas – un iter di diverse settimane, sia avvenuta proprio in questa data? O forse c’è qualcosa in più? Tutto ciò potrebbe rispondere ad un disegno politico?
Terzo. Dj Fabo è morto alle 11:40. Appena dieci minuti dopo – alle 11:48 – Marco Cappato, twittava “la notizia” che alle 11.55 era già il titolo di apertura di tutte le grandi testate nonché quella di tutti i telegiornali. Un’altra mera coincidenza?
Ci sono diverse persone, malate da anni o che da tempo si fanno carico di parenti in situazioni difficilissime, che nei giorni scorsi avrebbero voluto gridare a Fabiano che la vita vale la pena. Ma la stampa non gli ha dato la risonanza riservata all’ex dj.
Come Matteo, il 19enne di Milano, che non parla, non cammina, non fa nulla da solo a causa di un’asfissia alla nascita. Ma a DJ Fabo ha rivolto senza successo un appello: “Voglio [dire a dJ Fabo] che io conosco bene la fatica di vivere in un corpo che non ti obbedisce in niente. Voglio dirgli che noi persone cosiddette disabili siamo portatori di messaggi molto importanti per gli altri, noi portiamo una luce. […] Fabo, noi siamo il cambiamento che il mondo chiede per evolvere”[1].
Anche se formalmente il suicidio assistito in Italia è punito, introducendo il biotestamento si mira a renderlo presto legale, magari grazie a qualche sentenza “creativa” della magistratura. È poi di tutta evidenza che il radicale Cappato abbia voluto spingere il piede sull’acceleratore non tanto perché il Ddl semplicemente passi, ma perché passi il prima possibile e nella sua forma dura e pura: morte per tutti come e quando si vuole.
I fautori di questa strategia di morte indicano sempre l’Italia come fanalino di coda nell’adottare leggi “civili” al passo con i tempi.
A questo proposito è piuttosto istruttivo notare quanto riportato da Le Journal de Montréal e The National Post esattamente il 27 – lo stesso giorno della morte di dj Fabo – sulla situazione attuale in Ontario:
In Ontario, il suicidio assistito è legale da otto mesi ma suscita malessere tra i medici. Ventiquattro di loro hanno chiesto di ritirare il proprio nome in modo permanente dalla lista dei professionisti disposti a praticarla.[2] «Un’altra trentina si sono dichiarati indisponibili», esprimendo la necessità di un «periodo di riflessione». Un numero abbastanza importante da essere notato dall’Associazione Canadese dei Medici. Questi medici avrebbero «aiutato i pazienti a mettere fine» alle loro vite e a causa di ciò avrebbero subito «uno stress emozionale» o il «timore di sentirsi perseguitati». Costoro «hanno trovato l’esperienza troppo difficile per poter dare nuovamente questa assistenza», «l’atto è troppo doloroso».[3]
Come si vede stiamo parlando del “civilissimo” Canada che evidentemente può essere al passo con i tempi quanto vuole ma non riuscirà mai a cancellare dalla natura dell’uomo l’assoluta certezza che qualsiasi forma di eutanasia non è altro che un omicidio.
Fine della storia.
Samuele Maniscalco
Responsabile Campagna Generazione Voglio Vivere