Come avevamo facilmente profetizzato, il neopresidente Trump sta iniziando a salire il calvario che toccò al nostro Berlusconi (per il quale la via crucis ancora non accenna a finire) quando decise di scendere, e con successo, in campo. Entrambi ricchi imprenditori prestati alla politica, entrambi capaci di parlare alla pancia della gente, entrambi premiati dalle urne (l’unico posto, ormai, in cui il cittadino può esprimersi liberamente senza essere subissato, linciato, emarginato e perseguitato).
La tempesta che Trump si è tirato addosso con la sua decisione di limitare fortemente l’immigrazione da Paesi a rischio terrorismo, purtroppo vede titubanti anche quelli che, per primi, dovrebbero essere d’accordo. Già a suo tempo il compianto (da noi, ovvio) cardinale Giacomo Biffi aveva detto una cosa lampante: accogliere immigrati cristiani facilita l’integrazione ed evita problemi. Perché? Perché i musulmani sono inassimilabili, a meno che non facciano i “moderati”. Ebbene, la si giri come si vuole, ma il musulmano «moderato» è uno che ha deciso di vivere da non musulmano. Ora, la ventilata (si badi: solo ventilata) da Trump «corsia preferenziale» per i profughi cristiani che cerchino rifugio negli Usa ha scatenato, come previsto, il putiferio.
E tutti giù a ricordare che gli Usa sono nati come nazione di immigrati. Come se, per questo, dovrebbe continuare ad esserlo per forza ancora oggi. Ma la storia ci dice che gli Usa regolarono e contingentarono l’immigrazione fin dall’inizio, stringendo patti inderogabili con i Paesi di partenza, in molti casi (tra cui quello dell’Italia) imponendo quote in base alle regioni di provenienza (per esempio, più veneti e meno siciliani). E in molti casi intimarono dei momentanei stop, come sta facendo adesso Trump. Ebbene, la scelta (peraltro, ripetiamo, ancora campata in aria) di favorire i cristiani è stata biasimata perfino dal patriarca caldeo Louis Raphael Sako, il quale la teme come «trappola» per i cristiani mediorientali. Perché? «Perché tra le altre cose fornisce argomenti a tutte le propagande e ai pregiudizi che attaccano le comunità cristiane autoctone del Medio Oriente come ‘corpi estranei’, gruppi sostenuti e difesi dalle potenze occidentali» (agenzia Fides). Le «altre cose» sono spiegate dopo, quando evoca papa Francesco che vuole accogliere tutti «senza discriminazioni» religiose (infatti, sull’aereo papale imbarcò solo famiglie islamiche, come si ricorderà).
Insomma, già i jihadisti dipingono i cristiani mediorientali come quinte colonne dell’Occidente, e un Occidente che si mettesse ad accoglierere solo cristiani farebbe il gioco dei jihadisti. Inutile far presente che i Paesi arabi non accolgono nessuno, neanche un profugo, altrimenti sarebbe facile: i sunniti vadano in Arabia, gli sciiti in Iran e i cristiani in America. Né risulta che i profughi (o gli emigrati per qualunque motivo) chiedano di andare, che so, in Giappone o in Cina o Russia o in Corea del Sud (o in India, appena promossa quinta potenza industriale). Così, siamo sempre sotto ricatto musulmano: se non accogli tutti, ne fanno le spese i cristiani che rimangono; se critichi l’islam, idem (ricordiamoci le “stragi” che provocò il pur sensato discorso di papa Ratzinger a Ratisbona); se non coccoli e accontenti in tutti i loro capricci i musulmani che accogli, questi si «radicalizzano» e sono guai; se delinquono e li metti in galera, la radicalizzazione è sicura. Houston, abbiamo un problema. E questo problema si chiama Islam. Se avessimo degli statisti al comando, noi occidentali, guarderemmo con attenzione la storia, specialmente quella del Libano dei tempi di Gemayel. O magari quella di una santa, Isabella la Cattolica.
Rino Cammilleri in La NBQ