La “guerra del gender” non conosce confini e non risparmia nessuno. Se in Italia. in queste settimane è il turno della psicologa torinese Silvana De Mari, ad ogni latitudine, chiunque si azzardi a proferire parola contro il “gender diktat” finisce immediatamente nel tritacarne LGBT.
In questo senso, recentemente in Canada hanno suscitato grande scalpore le dichiarazioni di Jordan B. Peterson, professore ordinario di psicologia presso l’Università di Toronto e psicologo clinico, il quale ha osato esternare pubblicamente le proprie ragionevoli perplessità nei confronti della sempre più invasiva “agenda gender”.
In particolare, le colpe di Peterson sono:
Aver criticato il Canada’s bill C-16, il disegno di legge che propone di criminalizzare le discriminazioni in base “all’identità o espressioni di genere”, sottolineando come tali norme, oltre che assurde, siano anche «pericolosamente vaghe e mal formulate», in maniera da lasciare appositamente il tutto nelle mani del compiacente giudice di turno.
Essersi rifiutato di utilizzare il surreale pronome, sessualmente neutro, “Zhe”, volto ad identificare, in maniera “politicamente corretta”, coloro che non si “sentono” di appartenere ad alcun sesso specifico.
La vicenda del prof. Peterson ha fatto il giro del mondo dopo la diffusione di alcuni video, divenuti in brevissimo tempo virali.
Peterson sottolinea come molti dei suoi pazienti clinici siano stati portati letteralmente sull’orlo della pazzia proprio a causa della “correttezza politica” tenuta nei loro luoghi di lavoro, raccontando ad esempio il caso di un assistente sociale, costretto per legge ad ammettere uomini non chirurgicamente alterati in un casa per donne nonostante l’ulteriore trauma causato a loro dalla presenza delle donne.
Il prof. Peterson evidenzia inoltre la follia di norme legislative già applicate negli Stati Uniti da alcune autorità locali che hanno la facoltà di eseguire multe «fino a 250.000$ per chi commette il reato di “mis-genderizzazione”, ovvero il riferirsi alle persone utilizzando parole differenti dai pronomi gender-neutral».
Una legislazione delirante e contro il buon senso in quanto impone l’utilizzo di parole e criteri fuori dalla realtà:
«C’è una differenza fondamentale tra le leggi che impediscono alla gente di dire parole senza dubbio pericolose e le leggi che pretendono l’uso di parole e frasi politicamente corrette e approvate. Non abbiamo mai avuto leggi di quest’ultimo tipo prima d’ora, almeno non nei nostri paesi. Questo non è il momento di iniziare. Siamo a rischio, legislatori ideologicamente confusi ci costringono a usare parole che non abbiamo scelto liberamente».
Concetti ribaditi anche in un’altra intervista nella quale il prof. di Toronto sottolinea l’assoluta infondatezza scientifica delle ideologiche pretese gender:
«Non riconosco il diritto di un’altra persona a decidere quali parole io debba utilizzare, soprattutto quando queste sono inventate e create da una piccola cricca di persone ideologicamente motivate. Non ci sono abbastanza prove per affermare che l’identità di genere e la sessualità biologica siano aspetti indipendenti. Anzi, in realtà tutte le evidenze suggeriscono che non lo sono affatto».
Intervistato da Lauren Southern in occasione di un suo free speech rally presso l’Università di Toronto, Peterson ha chiarito che sebbene sia consapevole di rischiare il proprio posto di lavoro la posta in gioco è troppo alta per voltarsi dall’altra parte e rimanere in silenzio, dichiarando: “Qualcosa di brutto sta fermentando“.
A Peterson, a differenza di tanti altri suoi colleghi, va senz’altro riconosciuto il merito di aver avuto il coraggio di gridare che il “re è nudo” e che assumere e promuovere all’interno del sistema universitario il paradigma gender neutral è una pura follia ideologica da contrastare con ogni mezzo.
Rodolfo de Mattei in Osservatorio Gender