Open Doors, Porte aperte, l’organizzazione non governativa che dal 1955 aiuta i cristiani perseguitati e ne raccoglie le testimonianze di fede, ha appena pubblicato il suo annuale rapporto che, come di consueto, comprende l’elenco degli stati in cui “la fede costa di più”: 50 paesi, 650 milioni di cristiani oggetto di discriminazioni, abusi, attentati, aggressioni, limitazioni alla libertà di culto.
Per il 2016 la persecuzione è stata classificata estrema in 10 stati, grave in 20 – per un totale di circa 215 milioni di cristiani colpiti – e moderata in altri 20. Le vittime dell’intolleranza nel 2016 sono state 1.207, le chiese danneggiate o distrutte 1.239: un netto calo rispetto al 2015, anno in cui i morti erano stati 7.100 e 2.400 le chiese attaccate.
La diminuizione dei casi di violenza estrema si deve in gran parte ai successi registrati nella lotta a Boko Haram, i jihadisti nigeriani, e all’Isis, lo Stato Islamico. Ma conta anche il fatto che centinaia di migliaia di cristiani, specie in Nigeria e in Medio Oriente, hanno abbandonato le regioni controllate dai jihadisti, mettendosi in salvo, motivo per cui però patiscono privazioni e la dolorosa incertezza dello status di profughi. Inoltre, avverte Open Doors, le persecuzioni in realtà si sono estese e intensificate, hanno assunto forme più subdole.
L’islam resta la principale causa di oppressione per i cristiani. Ne è infatti responsabile in 35 stati su 50. Sono islamici otto dei primi dieci paesi, quelli in cui la persecuzione è definita estrema. Sono gli stessi del 2015 con due variazioni: la Libia è passata dal 10° all’11° posto, lo Yemen, 11° nel 2015, si trova adesso in nona posizione. Ci sono Stati a maggioranza musulmana, come la Somalia, la Tunisia, l’Egitto e l’Indonesia, in cui a minacciare i cristiani sono gruppi di estremisti islamici. In altri, ad esempio il Sudan e l’Arabia Saudita, la repressione è opera dei governi, con leggi che limitano in parte o del tutto la possibilità per cristiani di praticare la fede. In altri ancora i fedeli sono minacciati sia dalle leggi dello Stato che dai jihadisti e da una parte della popolazione influenzata da gruppi integralisti molto potenti: in Pakistan i cristiani subiscono attentati, abusi, discriminazioni e vivono sotto la minaccia della “legge nera”, la legge contro la blasfemia.
Nel 2016 l’intolleranza è aumentata soprattutto in Asia dove i cristiani costituiscono ovunque la minoranza della popolazione: è cresciuta, oltre che in alcuni paesi islamici, in Laos e Vietnam, entrambi regimi comunisti, e in India e Sri Lanka, ques’ultimo entrato nella classifica 2017 in 45a posizione, dove a perseguitarli sono i movimenti nazionalisti, rispettivamente indù e buddisti. Sono asiatici 31 dei 50 stati dell’elenco, su tutti la Corea del Nord, da 15 anni ininterrottamente al primo posto per la ferocia con cui la dittatura comunista punisce ogni pratica religiosa costringendo i fedeli a pregare di nascosto, da soli per timore di essere scoperti e denunciati. Per i trasgressori è previsto il carcere oppure l’internamento per anni o per sempre nei terribili campi di lavoro forzato e, per le colpe giudicate più gravi, la pena capitale.
Con 16 stati nell’elenco – tre tra primi dieci e sei nella seconda fascia – l’Africa si conferma l’altro continente in cui “la fede costa di più”. In tutti gli Stati africani la minaccia è rappresentata dal fondamentalismo islamico a cui in Eritrea e in Etiopia si aggiungono altri fattori: per l’Eritrea, spiega Open Doors, il carattere autoritario e intollerante del regime al potere – un regime di “paranoia autoritaria” è l’espressione usata nel rapporto – e per l’Etiopia un acceso scontro tra la Chiesa ortodossa e quella protestante. Inoltre ad accrescere tensioni e intolleranza contribuisce sempre, in misura determinante, il tribalismo, elemento endemico, strutturale, di tutto il continente. Un aspetto rilevante inoltre è dato dal fatto che ben in sei Stati – Eritrea, Nigeria, Kenya, Etiopia, Tanzania e Repubblica Centrafricana – i cristiani sono minacciati benchè costituiscano la maggioranza della popolazione o ne siano una componente importante quanto i musulmani. Questo si spiega in parte appunto con il tribalismo, ma è anche effetto della corruzione che rende i governi inefficenti e deboli, come tragicamente dimostra il caso della Nigeria.
Nell’elenco 2017 esce uno stato africano, il Niger, 49° nel 2016, e al 47° posto fa la sua comparsa un altro stato africano, la Mauritania, una repubblica islamica in cui vivono solo poche centinaia di cristiani, per lo più cattolici, sostanzialmente tollerati dal governo pur con vincoli e limitazioni alla devozione. La preoccupazione maggiore per la loro sorte deriva dal ruolo da alcuni anni più attivo di diversi gruppi jihadisti legati ad Aqmi, Al Qaida nel Maghreb islamico. Ma – spiega Open Doors – purtroppo “la persecuzione a volte arriva dall’interno”. La Chiesa mauritana infatti, benchè minuscola, non è esente da invidie, antagonismi personali e, soprattutto, spiacevoli casi di corruzione che demoralizzano e allontanano i fedeli.
di Anna Bono in La Nuova Bussola Quotidiana