Negare e falsare la storia non è solo uno sfregio agli ebrei, cari amici cristiani. La risoluzione dell’Unesco ci chiama in causa. O vogliamo morire di vergogna e tedio, inseguendo le manfrine dell’islamo-gauchismo?
Ridicolo e tragico vanno talvolta a braccetto, drammaticamente. È il caso della recentissima e vergognosa risoluzione Unesco circa Gerusalemme. Vergognosa anche per noi, cittadini italiani, dato che l’Italia ha deciso, con grande viltà, di astenersi. Come spesso accade, è più complicato e faticoso spiegare l’impostura, specie se colma di omissioni, rispetto al rendere ragione della verità. Ed è esattamente pensata ed argomentata in un’ottica simile la risoluzione in questione. Un documento internazionale che affermi e sancisca il valore simbolico di Gerusalemme per i tre monoteismi sarebbe da salutare con entusiasmo. Tuttavia, dopo le righe introduttive, i toni cambiano e, in relazione al Monte del Tempio, i nomi divengono solo arabi e l’importanza religiosa unicamente islamica. Ricorrendo alla strategia dell’omissione, si nega ogni rapporto tra l’ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro Occidentale (noto ai più come “Muro del Pianto”), denominato non “Kòtel”, secondo l’originale ebraico –dato che le pietre che lo compongono alla base sono di epoca erodiana –, ma soltanto con il lemma arabo “al-Burak”. Bel programma di convivenza! E bella opposizione a tale programma, scellerato e inevitabilmente guerrafondaio, hanno sostenuto, astenendosi e astraendosi dalla questione, alcuni Stati europei, Italia inclusa.
Nel corso della risoluzione – che non è la prima di tal fatta – si fa poi unilateralmente riferimento alle violenze inflitte dagli ebrei, più o meno fanatici, senza però alcun minimo accenno ai fanatici musulmani, ai terroristi islamici e alle continue violenze di cui sono vittime da decenni ebrei e israeliani. Anche in questo caso, distorsione programmatica del reale e omissioni. Le violenze sarebbero i check-point, i controlli, le richieste di documenti da esibire e, non da ultimo, gli scavi biblici-archeologici sul Monte del Tempio e lungo le fondamenta erodiane, da cui – chissà perché! – emergono reperti inerenti alla storia ebraica o comprove circa alcune narrazioni bibliche. Vi è un’altra violenza a cui si fa riferimento: i militari israeliani che controllano la Spianata. Dimenticando che, non di rado, dalle terrazze della Spianata vengono insultati gli ebrei oranti al Muro, lanciate pietre contro di loro e che sulla Spianata, la preghiera è permessa solo ai musulmani – salvo particolari momenti di turbolenza –, mentre invece gli ebrei hanno restrizioni e il divieto di pregarvi. E così, affinché alcuni ebrei potessero accedervi, è stato necessario tutelarli con una presenza militare.
Gli israeliani, in queste ultime decadi, sono stati perversamente e pervasivamente dipinti come colonizzatori “fuori tempo massimo”, divenuti, dopo essere stati vittime, spietati “carnefici”, responsabili di aver “destabilizzato” l’intero Medio Oriente. Adesso, persino la storia ebraica, biblica e non solo, è negata e, quindi, dichiarata falsa.
La risoluzione è stata depositata dal Sudan, stato retto da un regime islamico non estraneo a nefandezze di ogni genere. Tra i firmatari figurano molti Stati islamici, tra cui spiccano Qatar, Egitto, Libano, Iran, Pakistan, Nigeria. Sunniti e sciiti, altrimenti in guerra tra loro, stavolta in comunione di intenti. Vorrei che rileggeste questi nomi.
Vogliamo parlare di come vivono i cristiani in Nigeria, anzi, più esattamente, di come “muoiono”? Vogliamo discorrere della tutela dei diritti umani in Pakistan, cominciando da quello religioso dei cristiani di professare liberamente la loro fede o da quelli femminili? Vogliamo affrontare il tema, ben nutrito, Qatar e sovvenzioni continue al terrorismo islamico? Oppure preferiamo parlare dell’Iran e dei gay penzolanti democraticamente dalle gru, come in Arabia Saudita? I voti di questi Stati – o di altri par loro – possono decidere di Israele, che non è fortunatamente par loro, a meno di negare che il sole sorga ogni giorno (e, ahimé, lo si può fare).
Erano altri intellettuali
Riecheggiano tetre e angosciose le parole del Nobel per la medicina André Lwoff: «La maggior parte degli Stati che compongono la maggioranza dell’Onu sono paesi per i quali la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è lettera morta». È vero! Per quanto noi occidentali irresponsabilmente si faccia finta di nulla, in molti di questi paesi vige la Dichiarazione Islamica dei diritti umani, che è ben altra cosa per normativa, intenti e fondamenti. Ed è esattamente questo che rende questa scempiaggine non solo ridicola, ma anche pericolosa.
L’Unesco dichiarò guerra a Israele, con molti soggetti che ricompaiono anche oggi, già nel ’74. Gli intellettuali tuonarono contro l’organizzazione Onu: da Aron ad Argan, da Jemolo a Montale, da Sciascia a Soldati, da Mirò a Ionesco. Ma erano altri intellettuali! Anche Papa Paolo VI fece pressioni a favore di Israele… eh già, perché, se gli ebrei non hanno legami spirituali con Gerusalemme, il Monte del Tempio e il Kòtel, beh, anche i cristiani dovrebbero sentirsi un tantino in difficoltà.
Gerusalemme “città aperta”
La strategia della cancellazione non è estranea a culture dominanti, divenute maggioritarie, che hanno sottomesso antiche maggioranze, conquistate e condotte a uno status minoritario. Si pensi, per fare un esempio, alla sistematica cancellazione della memoria armena (culturale, artistica, architettonica, cimiteriale e archeologica) nelle vastissime aree della Turchia e dell’Azerbaigian, entrambi paesi islamici – il primo sunnita, il secondo sciita –, ma non solo. E questo è perdurato sino a pochi anni fa o, drammaticamente, è ancora in corso in alcune aree remote, ma ricche di vestigia armene. La memoria storica ebraica nella maggioranza dei paesi arabi, arretrante per lo più a prima dell’islamizzazione di quegli stessi territori, è stata spesso spezzata nel corso della storia, per divenire via via completamente divelta negli ultimi 150 anni. In Israele – e a Gerusalemme in particolare – gli ebrei non negano la storia cristiana o quella islamica. E, a differenza della risoluzione Unesco, persino i nomi di ogni singola strada compaiono in tre lingue: ebraico, arabo e inglese. Indicativo, no?
Ma torniamo all’Unesco e alla sua delibera. Il Monte del Tempio (Muro incluso) sarebbe davvero un sito solo islamico? La guida religiosa della moschea di Al-Aqsa, Muhammad Ahmad Hussein, devoto del defunto Haij Amin Al-Hussein – il Muftì filonazista di Gerusalemme, successivamente rifugiatosi in Egitto, e “padre” di molto islamismo contemporaneo – ha pubblicamente sostenuto che non mai è esistito il Beth ha-Miqdash (il Santuario) sul Monte del Tempio, ma unicamente una moschea, sin dall’origine del mondo. La logica è la medesima: una negazione (non è mai esistito) e una sostituzione (la moschea e i soli diritti islamici su quel luogo). Con buona pace di Salomone, Nabucodonosor che distrusse il Primo Santuario, Ezra e Neemia che vi tornarono, i Maccabei che lo riconsacrarono, Erode che lo ampliò, Simeone e Gesù di Nazareth di cristiana memoria che vi pregarono, Yochanan ben Zakkai e, infine, dei romani che lo distrussero per la seconda e definitiva volta. E gli ebrei che quotidianamente pregano facendo riferimento spaziale e simbolico tre volte al giorno, da almeno venti secoli, proprio a quel Luogo, alla “Casa Eletta”, come è definito dai Maestri di Israele? E che dire, ancora, dei diritti dei discendenti di coloro che per secoli, nonostante le avversità e la dispersione, facevano di tutto e a ogni costo per recarsi a pregare sulle pietre e sulle mura di quel Monte? Negando la memoria ebraica, si nega inevitabilmente anche la memoria cristiana, che viene scippata via e recisa anch’essa, checché qualcuno possa ancora pensare di tergiversare ad assumere questo dato.
È risaputo che Gerusalemme, quando è stata nella storia in mano cristiana o musulmana, è spesso divenuta città interdetta per le restanti due confessioni religiose. Con tutte le difficoltà, contraddizioni e limiti, è tornata a essere davvero, almeno parzialmente, “città aperta” per i fedeli di tutte le fedi solo da quando c’è lo Stato di Israele. E questo è un dato incontrovertibile, che anche i cristiani dovrebbero tenere a mente, visto purtroppo cosa ne è dei loro luoghi di culto in vaste aree del variegato mondo islamico.
Negare, ricorrendo all’omissione, la storia ebraica antica, significa negare la storia ebraica (e cristiana) presente. Ma vi è di più, ossia l’affermazione di un principio teologico. Secondo la tradizione teologica islamica, la Bibbia è erronea e la sua rivelazione alterata, dato che gli ebrei ne avrebbero modificato la lettera. E così si mette, da parte islamica, un’ipoteca enorme su cristianesimo ed ebraismo. E ne consegue, ad esempio, che, con ricadute pratiche e specifiche su Gerusalemme, la legatura di cui si narra in Genesi XXII non avrebbe riguardato Isacco ma Ismaele e al Tempio, sorto proprio su quel luogo, viene così sostituita, indipendentemente da ogni evidenza storica e archeologica, la favoleggiata moschea.
A rendere ancora più desolante e preoccupante questo tetro panorama è l’ignavia di alcuni Stati europei, vittime del loro suicidio culturale e religioso, dell’antisemitismo da cui non sono mai guariti nonostante le tediose manfrine dei politici di tutti gli schieramenti alla Giornata della Memoria, del devastante e dilagante islamo-gauchismo, ammiccante peraltro a molta sinistra cristiana innamorata di utopie stucchevoli. A ciò si aggiungano le vaste fette di popolazione islamica che popolano per immigrazione molti paesi europei e i loro umori, come pure i ricatti economici enormi che quotidianamente le nostre economie subiscono da parte di questi stati, e il letale cocktail è servito.
Basta buonismo irenista
Reagiranno i cristiani? L’Occidente smetterà di svendersi e di avere in odio il lascito dell’opera dei propri padri come pure il futuro libero dei suoi figli? Servirà il dialogo ebraico-cristiano a riequilibrare tutto ciò, con consapevolezza e raziocinio? Oppure anche questo dialogo, così prezioso e ancora agli albori, verrà spazzato via dal buonismo irenista e generalista prima e dall’antisemitismo – anche di matrice islamica – poi? Riusciremo, insomma, ad avere il coraggio di dire che “un gatto è un gatto” e che, pur dispiacendo a molti benpensanti, il “gatto non è diversamente cane”?
Vittorio Robiati Bendaud in Tempi