Riportiamo una sintesi della Dichiarazione di fedeltà sottoscritta dalle 80 personalità cattoliche. Errori sul vero matrimonio e sulla famiglia sono vastamente sparsi oggi negli ambienti cattolici, in modo particolare dopo i due Sinodi, Straordinario e Ordinario, sulla famiglia e la pubblicazione dell’Esortazione Amoris Laetitia. Di fronte a questa realtà, la presente Dichiarazione esprime la risoluzione dei suoi firmatari di rimanere fedeli agli insegnamenti morali immutabili della Chiesa sui sacramenti del Matrimonio, della Riconciliazione e dell’Eucaristia e alla sua sempiterna e duratura disciplina nei confronti di questi sacramenti.
Specificamente, la Dichiarazione di Fedeltà sostiene fermamente che:
I. Sulla castità, il matrimonio e i diritti dei genitori
– Tutte le forme di coabitazione more uxorio al di fuori di un valido matrimonio contraddicono gravemente la volontà di Dio;
– Il matrimonio e l’atto coniugale hanno entrambi propositi procreativi e unitivi e ogni atto coniugale deve essere aperto al dono della vita;
– La cosidetta educazione sessuale è un diritto basilare e primario dei genitori che deve essere sempre attuato sotto la loro attenta guida;
– La consacrazione definitiva di una persona a Dio per mezzo di una via di castità perfetta è oggettivamente più eccellente del matrimonio.
II. Sulle coabitazioni, le unioni di persone dello stesso sesso e il matrimonio civile dopo il divorzio
– Le unioni irregolari non possono mai essere equiparate al matrimonio, ritenute moralmente lecite o riconosciute legalmente;
– Le unioni irregolari non possono esprimere né parzialmente né analogicamente il bene del matrimonio cristiano, anzi lo contraddicono radicalmente, e devono essere ritenute forme peccaminose di vita;
– Le unioni irregolari non possono essere raccomandate come un prudente e graduale compimento della legge divina.
III. Sulla Legga Naturale e la coscienza individuale
– La coscienza non è la sorgente del bene e del male, ma rimembra come una azione debba adeguarsi alla legge divina e naturale;
– Una coscienza ben formata mai giungerà alla conclusione che, a causa dei limiti di una determinata persona, la migliore risposta che essa possa dare al Vangelo sia di rimanere in una situazione oggettivamente peccaminosa o che Dio stesso gliela stia chiedendo;
– Le gente non deve pensare alla pratica del Sesto Comandamento o alla indissolubilità del matrimonio come meri ideali da raggiungere;
– Il discernimento personale o pastorale non può mai portare i divorziati “risposati” a concludere che la loro unione adulterina possa essere giustificata dalla “fedeltà” al nuovo compagno o alla nuova compagna, che separarsi dall’unione adulterina sia impossibile, oppure che così facendo si espongano a nuovi peccati; i divorziati che si sono “risposati” e che non possono soddisfare la grave esigenza di separarsi, sono moralmente obbligati a vivere “come fratello e sorella” e evitare di dare scandalo, particolarmente qualsiasi manifestazione di intimità propria delle coppie maritate.
IV. Sul discernimento, la responsabilità, lo stato di grazia e lo stato di peccato
– I divorziati civilmente “risposati” che scelgono questa situazione con piena avvertenza e deliberato consenso della volontà, non sono membri vivi della Chiesa poiché sono in stato di peccato grave che impedisce loro il possesso della carità e la crescita in essa;
– Non esiste una via di mezzo fra lo stare in grazia di Dio ed esserne privo a causa del peccato grave. La crescita spirituale per qualcuno che vive in stato oggettivo di peccato consiste nell’abbandonare quella situazione;
– Dato che Dio è onnisciente, la legge naturale e la legge rivelata provvedono a tutte le situazioni particolari, specialmente quando proibiscono azioni “intrinsecamente cattive”;
– La complessità delle situazioni e i diversi gradi di responsabilità non impediscono ai pastori di poter concludere che coloro che vivono in unioni irregolari sono in oggettivo stato di peccato grave e di presumere nel foro esterno che si sono privati della grazia santificante;
– Poiché l’uomo è munito di libera volontà, gli atti morali volontari devono essere imputati al suo autore e questa imputabilità deve essere presunta;
V. Sui sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia
– Il confessore è tenuto ad ammonire i penitenti che trasgrediscono la legge divina e ad assicurarsi che veramente questi desiderino l’assoluzione e il perdono di Dio, oltre ad essere risoluti a rivedere e correggere la loro condotta;
– I divorziati “risposati” civilmente che permangono in uno stato oggettivo di adulterio non possono essere ritenuti dai confessori in possesso dello stato di grazia, quindi in grado di ricevere l’assoluzione e la Sacra Eucaristia, almeno che essi esprimano contrizione e fermamente si risolvano ad abbandonare il loro stato di vita;
– Nessun discernimento responsabile può sostenere che l’ammissione all’Eucaristia è permessa ai divorziati civilmente “risposati” che vivono apertamente more uxorio, sotto il pretesto che, dovuto a diminuita responsabilità, non esiste peccato grave. La loro vita esterna infatti contraddice oggettivamente il carattere indissolubile del matrimonio cristiano;
– La certezza soggettiva in coscienza sulla invalidità del matrimonio previo non è mai di per sé sufficiente a scusare i divorziati civilmente “risposati” del peccato materiale di adulterio o di permettere loro di non rispettare le conseguenze sacramentali del vivere da peccatori pubblici;
– Coloro che ricevono la Sacra Eucaristia devono trovarsi in stato di grazia e dunque i divorziati civilmente “risposati” che conducono uno stile di vita peccaminoso, rischiano di commettere un sacrilegio ricevendo la Sacra Eucaristia;
– Secondo la logica del Vangelo le persone che muoiono in stato di peccato mortale e non riconciliati con Dio, sono condannati eternamente all’inferno.
VI. Sull’atteggiamento materno e pastorale della Chiesa
– L’insegnamento chiaro della verità è un eminente opera di misericordia e carità;
– L’impossibilità di dare la Comunione a cattolici che vivono manifestamente in uno stato oggettivo di peccato grave emana dalla cura materna della Chiesa, dal momento che essa non è proprietaria dei sacramenti bensì una sua amministratrice;
VII. Sulla validità universale del Magistero costante della Chiesa
– Le questioni dottrinali, morali e pastorali riguardanti i sacramenti dell’Eucaristia, della Riconciliazione e del Matrimonio devono essere risolte tramite interventi del Magistero e, per la loro stessa natura, precludono le interpretazioni contradditorie o la possibilità di trarre conseguenze pratiche sostanzialmente in opposizione a esso; Mentre si spargono ovunque le piaghe del divorzio e della depravazione sessuale, persino all’interno della vita ecclesiale, è un dovere dei vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli cattolici dichiarare, ad una voce, la loro fedeltà all’immutabile insegnamento della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina, così come è stata ricevuta dagli Apostoli.
Da Corrispondenza Romana