Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Dio ci parla, ci interpella e oggi ci parla attraverso un bimbo, un bimbo appena nato, che apparentemente è muto, ma che nel suo silenzio dice molto di più di tutte le parole che noi sentiamo pronunciare dai potenti di questo mondo, da coloro che dovrebbero governare nella ricerca del bene, quello con la B maiuscola di coloro che gli sono affidati, ma che spesso deludono, mancano di credibilità, ricercano solo il proprio interesse e il proprio tornaconto e quello dei “ loro amici”.
Ma cosa ci dice questo neonato silenzioso che è Dio che viene in mezzo a noi? Ci viene a dire che Dio è luce e vita e che questa luce viene a dissipare le tenebre di un mondo che cacciando Dio caccia l’ uomo, caccia se stesso, perdendosi dietro vaneggiamenti malati che vogliono cancellare quei valori non negoziabili che rendono l’ uomo veramente uomo. Ci rammenta che Dio vuole per noi la vita, quella vita che tanto desideriamo, amiamo, speriamo e del cui valore ci rendiamo conto quando sembra venire meno. Questa luce di verità e di speranza si è accesa nel buio della nostra storia, nelle esistenze di ciascuno di noi a Betlemme in quel bambino appena nato, così fragile, così indifeso, così grande nella sua piccolezza.
Nascendo a Betlemme Dio ci parla di umiltà, rispondendo in questo modo al nostro orgoglio, alla nostra autosufficienza, alla nostra arroganza quando pensiamo di essere noi Dio perdendoci sulla via del peccato e ci ricorda che la misericordia di Dio è più grande di qualsiasi peccato.
Oggi, però l’orgoglio dimora ancora in molti cuori, purtroppo.
Questo bimbo che nasce nella povertà mette in crisi e ci interroga sulla nostra insaziabile fame di ricchezza. Fame insaziabile che divora anch’essa i cuori degli uomini, anche se scopriamo che essa non è la risposta alle domande dell’uomo. Eppure quanti fanno della loro vita una ricerca senza se e senza ma del denaro facendone lo scopo assoluto?
La povertà di cui ci parla questo bimbo, anche quando sarà adulto, non è il rifiuto dei mezzi e dei beni che sono necessari, ma è quella che nasce dall’ essere liberi dalla schiavitù del denaro che diventa un idolo delle cose che diventano degli idoli.
Cresciuto questo bimbo ci dirà: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Questo bimbo è il più forte, quel più forte annunciato da Giovanni Battista,” al quale lui non è degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali” ma la sua forza è proprio quella della mitezza, della pazienza, della non violenza.
Gesù che nasce non si presenta, però, a mani vuote: “… A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”, questa realtà meravigliosa della quale noi non ci rendiamo mai conto abbastanza, della quale ci dimentichiamo anche recitando la preghiera del Padre Nostro. Quale titolo può essere più grande, più bello, più gratificante e più rassicurante. Dio che è dalla nostra parte come Padre che sa perdonare ed essere misericordioso, anche quando ci corregge.
In Gesù noi scopriremo “la gloria di Dio”, che non si ammanta dei simboli del potere, della gloria del mondo, ma dell’ amore smisurato che arriva al dono della vita, perché noi abbiamo la vita e la salvezza.
Queste sono solo alcune delle cose che quel bimbo indifeso ha da dirci e che attendono una nostra risposta. La luce che si è accesa a Betlemme in questo bimbo chiede ancora di essere accolta, la Parola di essere ascoltata, vissuta, testimoniata perché anche altri possano condividere la gioia di sentirsi amati da Dio e sperimentare la sua misericordia.
A Betlemme si è manifestata la bontà di Dio e il suo amore per tutti gli uomini perché “ il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, ma noi vogliamo stare davvero con Lui? Dalla nostra risposta dipenderà se il Natale cesserà il giorno di S. Stefano o continuerà ad essere in noi ogni giorno!
Buon Natale!
Deo gratias, qydiacdon.