“ Già inoltrata è la notte; le stelle chiare e lucenti brillano nella fredda atmosfera; voci chiassose e discordi giungono al mio orecchio, dalla città: sono i gaudenti del mondo che ricordano con i bagordi la Povertà del Salvatore; … io veglio pensando al mistero di Betlemme”, così scriveva Papa Giovanni XXIII, ne: Il giornale dell’anima, era l’ anno 1901, ma queste parole sono ancora attuali oggi. Queste parole esprimono due aspetti del Natale. Quello chiassoso, mondano per adoperare un termine caro all’ evangelista Giovanni, intendendo così ciò che è lontano da Dio o se non contrario a Dio stesso. Quel Natale che non va al di là dei buoni sentimenti, del ritrovarsi insieme, del far festa, dello scambiarsi regali, cose belle, importanti, ma che non riescono a penetrare il “mistero”. Il mistero di Dio. Mistero che non è qualcosa d’ irreale, ma che è un avvenimento: scoprire che Dio non è solo in cielo, cioè in quella realtà che di per se non è raggiungibile all’uomo, ma che è vicino, è qui sulla terra. Ecco, quindi, lo stupore, la meraviglia e il silenzio, contemplare e lasciarsi penetrare da questa scena di umanità, di piccolezza e di grandezza assieme. Noi facciamo fatica, perché non sappiamo più stupirci, perciò zittirci e contemplare. Ma è proprio questo il segno che viene dato ai pastori e a noi credenti, assieme a quelli di ogni tempo, della grandezza di Dio, della sua potenza, nel segno della debolezza e della piccolezza di un bambino appena nato.
Un Dio, un bambino scomodo che non trova posto, Lui che è il Signore del tempo e della storia, della vita e della speranza. Cacciato ai margini, dalla sua venuta fino alla sua morte in croce. Questo Gesù emarginato, allora come oggi, tanto da volerlo cancellare dalla memoria. Presepi cacciati, canti impediti, in qualche paese non cristiano il Natale è stato addirittura vietato e punito con cinque anni di carcere e il suo sovrano è l’ uomo più ricco del mondo. Questo bambino che nasce in un sistemazione di fortuna rimane sempre scomodo e pericoloso per i potenti del mondo.
Ma noi, questa notte, vogliamo lasciarci sopraffare del mistero che abbiamo di fronte, penetrare e proclamare la nostra gioia, unirci al coro degli angeli e ai pastori, come ci descrive il vangelo. Sì perché i pastori che sono il simbolo dei poveri, dei disprezzati, dei tribolati di ogni momento; anche loro messi ai margini perché considerati dei peccatori, ci dicono la grande speranza di una salvezza che, non escludendo nessuno, vede proprio in queste categorie, che acquistano poi nomi diversi, bambini rifiutati, commissionati, venduti, malati, madri e padri indigenti, senza lavoro, persone che fuggono dalle guerre, anziani soli, prostitute, affamati, una predilezione particolare, ma anche per “ tutti coloro che vivono nella notte, per i peccatori, perché il cuore misericordioso di Dio va a cercare innanzitutto ciò che è perduto”. Per questo è venuto, viene sempre in mezzo a noi a bussare alla porta del nostro cuore.
Stare davanti alla natività, contemplare l’evento di Betlemme, immergersi nel grande mistero della grandezza di Dio che si fa piccolo ci dice un modo diverso, nuovo di incontrarlo, cogliendoci di sorpresa. Quello che ci si presenta è un Dio irragionevole, che occorre accettare così com’è, che va oltre ogni nostra idea di Dio. Grande, forte, potente, invincibile, non perché non lo sia, ma perché sceglie di essere fragile, debole, povero. Non ha nulla di “ firmato”, del successo, così ricercato da noi, dell’applauso e dell’ audience. Le sue condizioni dimesse, povero fra i poveri, vogliono dire a ciascuno di noi che Lui ci ama per primo e non perché abbiamo chissà quali meriti e capacità, ma proprio perché siamo così, fragili e poveri.
“È nato un Salvatore”, ( quello vero), questa parola infrange la notte che stiamo vivendo, è questo l’ evento di grazia che stiamo vivendo ed è la causa della nostra gioia perché abbiamo la certezza che Dio, nella sua misericordia, fedele alle sue promesse, ci vuole incontrare e ci ama.
Allora animo cercatori di Dio, una luce si è accesa nella notte a Betlemme, ad indicare dove Dio e l’ uomo si possono incontrare!
Deo gratias, qydiacdon