Ap 21,2 E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Ap 21,10 L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio…
Così è descritta la meta finale che ci attende nel libro dell’ Apocalisse, incontrarci con il Signore ed essere sempre con Lui. Una meta luminosa di bellezza e di grandezza unica, ecco uno dei motivi per cui la nostra vita viene spesso paragonata ad un viaggio. Nella Bibbia il verbo che indica andare a Gerusalemme è salire. Ed è proprio così. Gerusalemme, infatti, si trova a circa 750 mt di altezza, ma andare a Gerusalemme significa anche andare all’ incontro con Dio che ha il suo trono nel tempio. Non ci si va da turisti, ma da pellegrini. Gli ebrei vi andavano cantando quelli che sono i salmi di pellegrinaggio o “ delle salite”.
Gesù sta andando a Gerusalemme consapevole pienamente di ciò che l’ attende, ma nello stesso tempo determinato a fare di se e di tutta la sua esistenza un dono d’ amore per l’ uomo, per quelli del suo tempo, per quelli del nostro tempo, per me e per voi un dono d’ amore che è la Croce, ma anche un dono di vita che è la Risurrezione.
Se Gesù è consapevole, lo sono meno i suoi discepoli, che hanno bisogno ancora di essere educati e che si stanno perdendo in tanto altro. Essi stanno discutendo cercando di stabilire chi fra loro sia il più grande, sono ancora alla ricerca di un potere e di una supremazia umani … davvero il Signore è un Dio paziente con loro … e con noi.
Ogni volta che noi veniamo a Messa viviamo quello che è il cammino che Gesù ha percorso andando a Gerusalemme e quello che là è accaduto, in questo si dovrebbe rispecchiare poi il cammino della nostra vita fino alla Gerusalemme nuova, quella dell’ Apocalisse …, ma nello stesso tempo la domanda che viene posta da Gesù ai dodici viene posta anche a noi.
“ Di che cosa state discutendo? ” e se andiamo a vedere sia a livello politico, sociale, economico, ma anche personale forse ci troviamo nella stessa situazione dei discepoli.
“ Come essere più grandi ”, magari più grandi di Dio stesso, se potessimo.
“ Di che cosa stiamo discutendo?”
Di vacuità, di cose umanamente necessarie e altre appariscenti, appaganti, ma sempre limitate, ma occorre stare attenti come ammonisce Qòelet:
Ho visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento. ( Qo 1,14 ).
Credo che per ognuno di noi sia importante e significativo conoscere qual’ è il ruolo che ricopre nella scala gerarchica degli affetti, delle relazioni, della società, della comunità ecclesiale, del nostro grande piccolo mondo, insomma. Vi è un pericolo, però, grande, quello di esaurirsi e di sciupare tutte le nostre forze dentro questo orizzonte, pronti lottare strenuamente per difendere lo status raggiunto.
Così dimentichiamo, sia il cammino verso “ la città santa, la Gerusalemme nuova ”, sia la meta che è essere per sempre con il Signore.
Se Gesù ha ripreso fortemente Pietro, quando gli voleva insegnare a fare il Dio di successo, oggi non si arrabbia e di fronte al loro silenzio, simile a quello che facciamo noi quando ci viene chiesto conto di qualcosa in cui ne abbiamo combinato delle grosse. Gesù approfitta dell’ occasione per istruire i discepoli e anche noi su cosa occorre per camminare con Lui.
Le parole.
“ Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti ”
Parole chiare, che non si prestano a fraintendimenti, ma come si fa, mettersi all’ ultimo posto. All’ ultimo posto non ci vuole stare nessuno, tutti si approfittano, tutti ti calpestano, passi da stupido. Oggi non esiste più il motto l’ importante è partecipare , oggi l’ importante è vincere, anzi meglio se si passa da una vittoria all’ altra, più vittorie accumuli più sei considerato, come in un grande gioco di ruolo in cui ogni livello superato è una vittoria conquistata. La proposta di Gesù capovolge tutto il nostro modo di vedere la vita, l’ uso dei beni, le relazioni, ma è solo l’ amore che sa cedere il passo, mentre l’ egoismo spinge per passare davanti a tutti.
Eppure questa proposta, che a noi appare così impossibile da attuare, ha trovato nell’ arco della storia del cristianesimo, in oltre 2000 anni tanti che l’ hanno fatta propria, tanti cristiani che hanno detto di sì. È quella logica dell’ amore che porterà Gesù a consegnarsi nelle mani degli uomini che nel loro orgoglio, nel loro egoismo lo metteranno in croce. In questo modo ci viene fatta conoscere l’ onnipotenza di Dio, che non è quella del porsi in alto, sopra a tutti, ma amore potente, umile che non ha paura di servire, di chinarsi, ma per questo vitale.
Scrive il cardinal Comastri nel suo commento:
Notate un particolare: quando Gesù lavò i piedi agli apostoli la sera del Giovedì Santo, Egli li guardò dal basso in alto. Noi talvolta cerchiamo Dio … nella luna, mentre sta lavandoci i piedi”
Il gesto.
Se le parole non bastano ecco un gesto. Gesù pone in mezzo a loro un bambino e lo abbraccia dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Nel popolo di Israele i bambini, pur vivendo in una situazione sociale migliore rispetto al mondo greco-romano, non hanno particolare importanza: gli Israeliti non li idealizzano, né accordano loro speciale attenzione come individui (Cfr. Enrico Paschetto, Gesù e i fanciulli, in Storia di Gesù, vol. 4, ed. Rizzoli, pag. 1178). Fuori casa e fuori della scuola occuparsi di un bambino è considerato dagli ebrei come una perdita di tempo. Per un rabbino, poi, accarezzare ed abbracciare i bambini è un avvilire la propria dignità. Proviamo ad immaginare il significato di questo gesto: inaudito! Una realtà che agli occhi della gente sembra di scarso valore acquista agli occhi del Maestro, agli occhi di Dio, un grande valore. È un pugno nello stomaco alla nostra società “ dello scarto”, per riprendere le parole di Papa Francesco.
Impariamo, quindi, e attrezziamoci se vogliamo giungere anche noi alla Gerusalemme Celeste. Il modo è quello di valorizzare le realtà semplici, essere capaci di servire in umiltà, gioia e letizia, direbbe uno come S. Francesco … tutto il resto è “ Vanità delle vanità” nebbia inconsistente che svanisce alla luce del sole … e il vero sole è Cristo!
Soli Deo gloria, qydiacdon