“ Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio” ( Rm 8,14 ). Il problema, più che rivendicare per me la presenza di questa guida estrosa e infallibile, è di lasciarmi da lui effettivamente condurre. Nel mio cuore devo chiedere ogni giorno la docilità ai suoi impulsi, senza vantarlo di fronte ai miei fratelli come
l’ ispiratore e il garante dei miei atti. Troppe volte mi sono avveduto che molto ciò che nel passato ho detto e fatto con aria ispirata e sicurezza carismatica era in realtà più frutto della mia ostinata insipienza che
dell’ illuminazione di Dio. Uno ha il dovere di essere stupido in proprio, senza rischiare di coinvolgervi la terza persona divina.
C’è gente che, come gli apostoli il giorno di Pentecoste, sembrano alla corta vista umana “ ubriachi di vin dolce” e sono autenticamente posseduti dallo Spirito. Ma c’è gente, e sono molto di più, che sembrano ubriachi e sono proprio ubriachi.
È peccato contro lo Spirito mortificarlo e ridurlo al silenzio; ed è peccato contro lo Spirito costringerlo a testimoniare contro voglia presentarlo come provocatore di ogni follia. L’una e l’altra sono colpe da cui, purtroppo è molto difficile convertirsi.
Il dovere di accogliere lo Spirito si specifica anche nel dovere di riconoscere i profeti che sono mossi dallo Spirito. La parola dei profeti penetra a fatica la scorza del cuore. È aspra, pungente, inquietante, dolorosa. La parola di Dio, sta scritto, è come una spada a due tagli e perciò, a meno di lasciarla inerte nel fodero, incide e fa sanguinare.
I profeti, veri o falsi che siano, sono un po’ tutti dei guastafeste. Di qui la necessità di saperli sceverarare: se proprio dobbiamo perdere il dono raro e squisito della quiete, che avvenga almeno a causa dell’ autentica profezia.
Il vero profeta sa che la sua, più che quella degli altri, è una strada disagevole e votata all’insuccesso umano. Cerca perciò di non essere troppo piagnucoloso, non s’atteggia a martire, non grida continuamente all’ ingiustizia, se incontra qualche contrarietà a svolgere la sua missione nella Chiesa. Se lo Spirito di Dio non riesce a fargli capire questa lezione elementare, è molto improbabile che ottenga di renderlo portatore dei suoi messaggi. Il vero profeta di solito mette in crisi ogni vita ecclesiale troppo tranquilla, compiaciuta o rassegnata che sia, e si trova in contrasto con gli abiti mentali acquisiti. Ma si trova ugualmente in contrasto con le idee di moda, con gli idoli imperanti, con i nuovi verbi che godono subito dell’entusiastica approvazione della folla. Diversamente non si rivelerebbe l’originalità dello Spirito, ma si avrebbe soltanto il passaggio da un conformismo a un altro, forse più tirannico e più sclerotico. Non è importante, in rapporto all’ autenticità, che il profeta sia in anticipo sui tempi e dica prima ciò che tutti in seguito ripeteranno. Non basta lanciarli prima degli altri perché i ragli diventino profezie.
Questo è il grande dono dello Spirito, cui dobbiamo interiormente disporci con animo libero e generoso:
un profeta che, in mezzo ai banchi di nebbia che a tratti ci lasciano penosamente incerti nella direzione da seguire – e quasi si arriva a credere che dovunque si vada fatalmente ci si svii – indichi la strada di Dio; non la più piana o la più attesa o la più conforme a quanto si è sempre fatto o la più simile a quanti tutti bene o male si finirà per fare, ma la strada di Dio, la strada verso la verità, la giustizia, la misericordia, la pace, mete intese e volute da tutti, anche se è raro – se non c’è illuminazione dall’ alto – trovarsi d’ accordo in molti sul cammino per arrivarci.
Da: “Quando ridono i cherubini”, card. Giacomo Biffi, ed. ESD