La fine di don Giuseppe Lenzini – Cocette di Pavullo, Modena.
Don Giuseppe Lenzini, 64 anni, nato a Fiumalbo nel 1881, dal 1941, parroco nella frazione delle Crocette di Pavullo, è una delle più crudeli immaginabili. Notte fra il 20/21 luglio 1945, verso le due vanno a svegliarlo col solito pretesto del moribondo da confessare, ma lui non abbocca, lui che è così sollecito con tutti gli infermi, poi quel malato lo ha visitato la sera prima. Scusandosi si rifugia nel campanile. La domestica dirà che poi dopo il colloquio “seguì un lungo silenzio, finché si udirono dei rumori lungo i muri della casa”.
Si saprà dopo che gli “ assalitori” si sono dati da fare con una scala a pioli della lunghezza di sette metri per raggiungere una finestra a 7 metri di altezza. Penetrano in canonica cacciano la perpetua in un angolo e prendono il prete rifugiato nel campanile che ha iniziato a suonare le campane per chiamare aiuto, ma nessuno si muove.
Gli assalitori entrano in Chiesa, ma il sacerdote oppone resistenza, come verrà scoperto il giorno dopo. Viene trascinato via in camicia da notte e subito fuori iniziano le violenze. Le testimonianze dicono, e sembra accertato, che vogliono costringere don Lenzini a bestemmiare.
Il suo cadavere viene trovato una settimana dopo, il 27 Luglio, semisepolto in una vigna distante mezzo chilometro, con varie ossa spezzate, oltre che crivellato di proiettili e col solo volto che affiora dalla terra, privo degli occhi; il cranio fracassato dal calcio di una pistola.
Il motivo di tante sevizie? Il sacerdote durante la predicazione aveva criticato i “metodi estremisti di far fuori la gente”. Questo suo fare era stato riportato alla “cellula” di Pavullo, dove qualcuno esclama che quello è un prete “da togliersi dalla spesa”.
Il processo
Si svoge nel luglio del 1949, senza la parte civile, perché i parenti sono sotto l’incubo delle minacce; l’ autorità religiosa non si muove ; perfino l’ aula del tribunale è pervasa da un’ atmosfera opprimente, arrivano anche le minacce: ”Qualcuno non esce vivo di qui stasera” …. Degli otto imputati, due membri della polizia partigiana sono prosciolti in istruttoria, uno viene assolto per non aver commesso il fatto e gli altri assolti per insufficienza di prove.
La domestica, prelevata da uomini che dicono di essere della polizia, è interrogata, ma di quell’ interrogatorio non si sa nulla. Né altre anomalie servono a far condannare i colpevoli.
La conclusione
da un giornale locale:
“ Gli altri della banda forse erano degli estranei, ma le guide erano del luogo: hanno dimostrato di conoscere troppo bene i nomi delle persone ( usati in un primo momento per chiamare il parroco) e la via tortuosa percorsa da don Lenzini per andare dalla camera al campanile.”
Oggi
Il comune gli ha dedicato una via ed in Diocesi è stata inoltrata la richiesta di beatificazione di don Luigi.
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Liberamente tratto da: Storia dei preti uccisi dai partigiani di Roberto Berretta – ed Piemme
Una prece per il martire e per gli assassini!