Tre notti nella liturgia di oggi: quella di Elia, quella di Gesù e i discepoli, la nostra notte, perché la Parola del Signore è per l’oggi della nostra vita!
La notte di Elia.
Quella di Elia è la notte, dello scoraggiamento, dello sconforto della persecuzione da parte della regina Gezabele che lo vuole morto ed eccolo intraprendere un ritorno a quel monte di Dio, l’Oreb, dove Dio ha manifestato la sua potenza facendosi accompagnare da impressionanti fenomeni. Come mai Dio non manifestava ancora una volta la sua potenza per fermare l’idolatria?
Al Profeta che cerca Dio risponde, come lo fa anche all’ uomo che cerca, ma non secondo le sue aspettative. Di fronte alla potenza dei fenomeni naturali Elia sperimenta la sua piccolezza, la sua debolezza e si ritira di nuovo all’ interno della caverna, solo quando arriva “il sussurro di una brezza leggera”, dove il Signore è presente Elia si copre il volto con il mantello ed esce alla presenza del Signore e si ferma all’ingresso della caverna.
Anche noi vorremmo che il Signore si manifestasse spesso con la sua potenza, ma non è sempre così. Anzi spesso si manifesta in modo velato, impercettibile nel mistero dell’ordinario, nascondendo la sua potenza e chiedendo a noi, come ad Elia di fidarci di Lui!
La notte di Gesù e dei discepoli
Alla notte di Elia fa da contrappunto quella di Gesù e dei discepoli! Due scene di uno stesso racconto!
Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci Gesù “costringe i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’ altra riva”. Finito di congedare la folla si ritira sul monte a pregare, da solo.
Le giornate di Gesù erano affaccendate non meno delle nostre, eppure il Vangelo annota come Egli ricercasse lo stesso, un tempo e uno spazio per la preghiera, per incontrarsi in quel modo con il Padre. Io non so quale siano le vostre concezioni sulla preghiera. In molti, in un comune modo di pensare, dicono spesso: ma non è pregare anche facendo del bene agli altri, impegnarsi per la giustizia, esercitarsi nella carità, non fare del male.
Certo Gesù ha fatto tutte queste cose, donandosi completamente agli altri, ma per Lui non era ancora sufficiente occorreva quell’ intimità con il Padre che si esprime nella preghiera. Sono due cose intimamente correlate, inscindibili una non esclude l’altra e ambedue si completano l’una nell’altra.
Quando noi teniamo ad una persona gli concediamo del tempo, se non siamo disposti a concedere almeno uno piccolo spazio di tempo a Dio, a Gesù nella nostra giornata e ad incontrarci con Lui almeno una volta alla settimana, significa che poi non lo riteniamo mica così importante per la nostra vita.
L’ altra scena!
I discepoli sono sulla barca e stanno compiendo la loro traversata ed ecco che scoppia una tempesta, la barca è agitata sballottata dalle onde. Assomiglia alla barca della Chiesa, oggi sballottata fra le onde di un mare, quello del mondo, del relativismo, del soggettivismo, della perdita di un senso di umanità che nasce dal cuore chiuso. Un mondo e un’umanità che ritiene di non avere più bisogno di incontrare il Signore, di volgersi a Lui e di tenere lo sguardo fisso su di Lui.
Che non sa riconoscere più il suo Signore che viene incontro camminando sul mare verso la fine della notte! “È un fantasma”. Di fronte allo sgomento dei discepoli le parole rassicuranti di Gesù: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Ma Pietro ancora dubita: “Se sei tu … comandami di venire verso di te sulle acque”.
“Vieni” è la risposta di Gesù!
Camminare sulle acque significa non avere nessun solido sostegno se non avere lo sguardo fisso su Gesù, unico appiglio, unica sicurezza, non lasciarsi distrarre da altro. Ma ecco il vento forte e di nuovo la paura, una fede che vacilla e si affonda.
“Signore salvami” è il grido accorato, e Gesù stende la mano e lo afferra, lo salva.
“Il messaggio è chiaro; il discepolo vive sostenuto dalla fede: fino a che il suo sguardo è rivolto a Gesù il cammino sulle acque è possibile. Ma se comincia a guardarsi intorno a misurare i pericoli, a pensare a sé stesso a garantirsi la propria difesa, sorge inevitabilmente la paura e con la paura il ripiegamento su di sé.” (Monari/Sirboni –Spunti per le omelie dell’ anno A- EDB)
La nostra notte
Il rimprovero di Gesù: “Uomo di poca fede perché hai dubitato” rivolto a Pietro è anche rivolto a noi, che dovremmo mostrare la nostra fede anche nei momenti di prova, di difficoltà, di “tempesta”, e chi non ha dovuto affrontare la tempesta nella propria vita? Forse anche più di una. Momenti in cui la nostra vita sembra andare per strade a noi incomprensibili e veniamo sommersi nel buio di una notte che sembra non passare più.
Lasciarsi vincere dalla paura significa che la nostra fede deve ancora crescere per arrivare ad essere una fede matura. Se andiamo con il pensiero alle “tempeste” che abbiamo o dobbiamo affrontare ci rendiamo conto che è così!
Certo non è facile, ne sono consapevole, e non è che dica che le prove e le difficoltà siano necessarie per incontrare il Signore tutt’altro. Quando queste, però arrivano cosa succede? Cominciamo a gridare, a invocare, a sperare e veniamo obbligati a riconsiderare il presente e tutte quelle cose che ci hanno preso al punto di non riuscire più a sollevare lo sguardo, le nostre sicurezze crollano e camminiamo anche noi sulle acque e stiamo affondando.
E il Signore non viene è là sul monte a pregare, ma verso la fine della notte il Signore eccolo, ma sarà proprio Lui? Non sarà un’illusione nata dal nostro desiderio di salvezza? E ancora la sua voce ripete per tutti noi. “Coraggio sono io non abbiate paura”; stende la mano e ci salva, ci fa salire sulla barca e il vento, la tempesta cessano.
Ed ecco il rimprovero di Gesù: “Uomo di poca fede perché hai dubitato?”
La vita è un cammino con le sue durezze e le sue prove, in questo cammino la Parola del Signore porta attese di speranza, di luce, di rialzarsi e di ricominciare per arrivare anche noi a quella esplicita professione di fede: “Tu sei veramente il Figlio di Dio”, quel Dio a cui siamo alla presenza, che non è nel frastuono, nella confusione, ma in un piccolo pezzo di pane nel quale possiamo sperimentare la sua vicinanza e la sua consolazione!
Deo gratias, qydiacdon.