La caratteristica del tempo di Avvento che apre questo nuovo anno della Chiesa è certamente l’attesa. Attendere, però significa sperare.
Quando nella nostra vita non ci attendiamo più niente tutto diventa vuoto e noi siamo disperati. Scompare l’orizzonte di un futuro, sia prossimo, sia remoto. Se poi ci pensiamo bene la dimensione dell’attesa accompagna tutta la nostra esistenza. I genitori attendono che i loro figli crescendo si realizzino in modo positivo. Alla sera, se noi ci fermiamo un attimo e facciamo la disamina della nostra giornata spesso constatiamo come non tutto possa essere andato secondo quelle che erano le nostre attese. Non siamo magari riusciti a fare tutto quello che ci eravamo prefissati, non tutto è riuscito bene e, magari con un sospiro, ci attendiamo e speriamo che il domani sia migliore di oggi.
A vedere come stanno andando le cose nel mondo tutti ci attendiamo qualcosa di diverso, di migliore, salvo poi chiederci cosa stiamo facendo per porre quelle premesse che potrebbero renderlo tale. A partire da noi, senza aspettare che qualcun altro si sostituisca a quell’ impegno a cui ciascuno è chiamato.
Attendere e sperare sono quindi intimamente uniti. L’ Avvento viene a suonarci la sveglia di un’attesa assopita e di una speranza affievolita. Questo tempo di Grazia, che apre il nuovo anno liturgico, diventa, così, l’occasione per ciascuno di interrogarsi su cosa attendiamo? Ed anche come attendiamo e se questo nostro attendere è illuminato dalla speranza, ma quale speranza?
Mi sembra di poter affermare che , oggi, il senso dell’ attesa si è molto affievolito a causa dell’ affermazione/presunzione da parte delle persone di un delirio di autosufficienza, almeno in certi strati delle popolazioni ricche o di coloro che comunque godono di una certa agiatezza economica. Potere risolvere tutto ed ogni cosa basandosi solo sulle forze e sulle energie umane. Eppure tutti i giorni noi facciamo esperienza di non essere autosufficienti e di dipendere dagli altri, di non bastare a noi stessi. Dal primo giorno in cui noi veniamo alla vita abbiamo la necessità di essere accolti e amati, nutriti e curati. Peraltro in coloro che disperati cercano di migliorare la propria condizione pare emergere un senso di impotenza di fronte a difficoltà enormi che non si riescono a superare.
Si smarrisce il bisogno di una salvezza che sembra non arrivare mai ed anche la speranza languisce.
Accade anche per noi quello che è successo ai due discepoli di Emmaus, che allontanandosi da Gerusalemme, sconsolati per avere visto deluse tutte le loro aspettative dicono allo sconosciuto che li affianca: “Credevamo che fosse Lui…”
Quando i nostri progetti umani falliscono abbiamo bisogno di essere consolati. Quante volte, in una situazione di fallimento, di delusione, di impotenza, si sente dire: “Signore se ti facessi vedere … Signore se ci
sei …”.
Non è molto diverso da quello che dice il profeta nella prima lettura anche lì in un’clima di sfiducia e di disillusione: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi”. Ma questo è quanto avviene a Natale, i cieli si aprono, si squarciano e Dio viene in mezzo a noi, come avviene in ogni Eucaristia. Se noi ne avessimo più consapevolezza! Quando il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo davvero si aprono i cieli
Si rinnova il mistero grande della venuta del Signore salvatore, crocifisso e risorto, vincitore della morte in mezzo a noi.
Il cristiano non attende qualcosa, ma qualcuno, che già si è messo in cammino per incontrarci e come è già venuto una prima volta, tornerà, ma viene sempre perché la Chiesa, prima di tutto, possa accoglierlo e assieme a lei ogni uomo.
Possiamo dire, senza aver paura di esagerare che dovremmo essere consapevoli di vivere sempre in uno stato di Avvento e vivere, questo periodo in modo particolare, ma sempre in quell’ atteggiamento di veglia, di vigilanza, di cui ci parla ancora una volta oggi il Vangelo.
Siamo nella novena dell’Immacolata, abbiamo davanti a noi la figura di Maria che ci indica bene come si fa a vivere l’attesa. Un’ attesa che non sia quietismo, abulia, ignavia e neppure indifferenza.
Vigiliamo nella preghiera e nell’ ascolto della Parola, rivisitando l’annuncio della venuta del Signore nelle profezie.
Riviviamo la gioia dell’attesa ringraziando il Signore per i tanti doni che elargisce, non ultimo la pazienza di attendere la nostra conversione.
Viviamo questo tempo operosi nella Carità, mettendoci in cammino verso le innumerevoli povertà del mondo, e non vi sono solo quelle economiche, per portarvi la luce di Cristo, dell’amore evangelico, così come ha fatto Maria quando si è messa in viaggio per visitare Elisabetta.
Vigiliamo con Cristo, guardando avanti, ma senza scordare il passato. (Newman)
Vigiliamo per Cristo, come quando si attende un caro amico che sappiamo essersi messo in viaggio e che sta per giungere
Vigiliamo in Cristo, consapevoli del suo amore e della sua tenerezza, desiderando che si affretti il giorno della sua venuta perché il Signore è fedele e non tarderà.
Deo gratias, qydiacdon