Nella vicenda Viganò c’è molto più di Viganò. C’è un attacco a Benedetto XVI in cui il taroccamento mediatico sarebbe stato funzionale ad un taroccamento teologico e magisteriale, nel tentativo di cambiare i connotati percepiti del magistero di Ratzinger, trascinandolo verso altre interpretazioni. Fede e ragione, ecologia umana, diritto naturale, Quaerere Deum e vetus ordo: un pontificato scomodo ancora osteggiato.
Nella vicenda Viganò c’è molto più di Viganò. Nell’editoriale di ieri, il direttore Cascioli ha sostenuto che dietro la vicenda Viganò c’è un attacco a Benedetto XVI, non solo una strumentalizzazione della sua persona, il che sarebbe ovviamente già molto grave, ma al suo pensiero e al suo magistero, nel tentativo di “strattonarlo” e di fargli dire ciò che non ha detto, allocandolo su posizioni da esso mai occupate. Il taroccamento mediatico sarebbe stato funzionale ad un taroccamento teologico o addirittura magisteriale, nel tentativo di cambiare i connotati percepiti del magistero di Benedetto e di trascinarlo verso altre interpretazioni.
Benedetto XVI, durante il suo pontificato, fu chiamato da “La Civiltà Cattolica” il “Papa scomodo”. Da Papa emerito, Benedetto continua, evidentemente, ad essere scomodo se, strattonandolo, lo si vuole normalizzare. Ma è difficile farlo in modo corretto, dato che il suo magistero sta lì davanti a tutti nella sua chiarezza. Quali sono, allora, gli aspetti “scomodi” di Benedetto XVI che la vicenda Viganò voleva accomodare?
In primo luogo l’impostazione della sua teologia e del suo insegnamento sulla Verità del Cristo-Logos, sull’incontro provvidenziale del cristianesimo col pensiero greco e quindi sulla conferma dell’importanza della metafisica e sul suo rilancio in teologia, conformemente anche alla Fides et ratio di Giovanni Paolo II.
Si tratta una direttrice che taglia fuori molta parte della teologia progressista di ieri e di oggi, che invece ha ormai da molto tempo abbandonato la metafisica, optando per il paradigma ermeneutico. Alla conoscenza dell’essere ha sostituito l’interpretazione dell’esistenza. Questa linea di Benedetto XVI è molto scomoda anche perché impone il recupero della Sapienza creatrice e, quindi, della difesa del Creato secondo modalità non ideologiche, nonché l’assunzione piena della legge morale naturale e del diritto naturale. Cose che fanno accapponare la pelle a cardinali, vescovi e teologi ligi seguaci dei segni dei tempi.
Sul primo dei due punti, Benedetto XVI ha impegnato la Chiesa nella difesa del Creato non solo nella versione riduzionista dell’ONU e del movimentismo ecologista e popolare, ma nel senso dell’ecologia umana e sociale. Anche l’uomo e la società sono frutto della Sapienza creatrice e possiedono quindi un ordine. La vita, il matrimonio e la famiglia vanno difesi per questo. Anche altri lo fanno, si dirà. Sì, ma solo la Chiesa è in grado di tutelare fino in fondo il diritto naturale, riconoscendogli la sua autonomia, come Benedetto XVI spiegò al Parlamento tedesco, ma nello stesso tempo candidandosi a sua prima protettrice perché solo essa è capace di collegare il creato al Creatore, ponendolo così in sicurezza. La teologia della creazione è molto in disuso nelle scuole teologiche di oggi, viene considerata troppo fissista e metafisica, e proprio per questo è un discorso “scomodo”.
Quanto alla legge morale naturale, sono innumerevoli gli insegnamenti di Benedetto XVI sul tema, che è alla base degli insegnamenti della Humanae vitae di Paolo VI, della Familiaris concortio, Evangelium vitae e Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. E’ difficile sostenere nella Chiesa novità in campo morale senza mettere in questione il concetto stesso di legge morale naturale e la teologia morale che lo assume in sé nel rapporto con la legge nuova. E’ evidente che anche questo è un insegnamento scomodo. Ne deriva immediatamente la scomodissima dottrina dei “principi non negoziabili”, insegnata da Benedetto, contestata fin da subito dalla teologia progressista ed oggi definitivamente messa da parte.
La corretta impostazione del rapporto di purificazione tra la ragione e la fede, che è stato senz’altro uno degli argomenti centrali nell’insegnamento di Benedetto XVI, era anche finalizzato a superare i molti errori dell’epoca postconciliare e a riconsiderare nella sua autentica realtà il Concilio stesso, restituendolo alla Chiesa dopo che molti teologi ne avevano permesso la strumentalizzazione da parte del mondo. Ciò perché rimetteva a posto il rapporto tra dottrina e pastorale, richiedeva implicitamente di rivedere la cosiddetta “svolta pastorale” e ricominciava ad insegnare che la verità precede la prassi. Non va dimenticato che il corretto rapporto tra fede e ragione è di importanza fondamentale affinché l’esegesi biblica possa andare oltre il metodo storico critico che Benedetto XVI rimise al suo posto.
Forse il punto più acuto della “scomodità” di Benedetto XVI è stato la pubblicazione del motu proprio “Summorum pontificum” con il quale si ripristinava il vetus ordo nella celebrazione della Santa Messa, considerandolo una forma straordinaria dell’unico rito della Chiesa cattolica. Erano note le numerose critiche del cardinale Ratzinger all’origine e alla evoluzione della riforma liturgica postconciliare e le profonde riflessioni liturgiche del teologo Ratzinger. Così quel motu proprio voleva fare delle liturgia nuovamente un punto di rinnovamento generale della Chiesa nella fedeltà alla tradizione. Si è trattato senz’altro della disposizione più osteggiata di tutto il suo pontificato.
Benedetto XVI impostò il rapporto tra la Chiesa e il mondo senza cedimenti al secolarismo o alla confusione tra sacro e profano. Lavorò per ripristinare la centralità di Dio anche nella costruzione della società degli uomini, “Quaerere Deum” era la cosa più importante da cui sarebbero scaturiti anche benefici umani, le cose ultime illuminano anche le cose penultime. Egli insegnò con chiarezza l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio e che un mondo senza Dio è un mondo contro Dio. Aiutò quindi a comprendere correttamente la secolarizzazione e la laicità. Questi insegnamenti contrastavano con le molte interpretazioni del Vaticano II come pariteticità tra il mondo e la Chiesa o con molte correnti teologiche contemporanee che tendono a ridurre la Chiesa a mondo.
Il pontificato di Benedetto XVI rimane “incompiuto”, ma ciò non significa che non sia stato chiaro e coerente nel combattere la gnosi anche dentro la Chiesa. Certamente un pontificato impossibile da strattonare senza taroccamenti.
Stefano Fontana in
La NBQ