Meghan Murphy è una scrittrice femminista, ora in prima linea per affermare il diritto alla libertà d’espressione. Perché? Non le è andato giù il blocco che Twitter ha disposto del suo account dopo che aveva osato riferirsi al sedicente transessuale Jonathan “Jessica” Yaniv con il pronome maschile, scrivendo inoltre che «gli uomini non sono donne».
La mannaia del politicamente corretto non smette mai di colpire, ma qualcuno che non ci sta e alza la testa, fortunatamente, in giro c’è ancora. Perfino là dove meno uno se lo aspetterebbe. Meghan Murphy, per esempio, non è un’altra Silvana De Mari e non scrive libri alla Costanza Miriano. Tutt’altro. Trentanove anni, scrittrice di fede progressista – «sono socialista», tiene a precisare, «quindi politicamente di sinistra» – nonché fondatrice di FeministCurrent.com, il principale sito femminista del Canada, è decisamente lontana dal prototipo dell’intellettuale conservatrice, qualifica che potrebbe pure ritenere offensiva.
Ciò nonostante, la Murphy è ora in prima linea in una battaglia per affermare il diritto di manifestare il proprio pensiero. Per quale motivo? Semplice: non le è andato giù, comprensibilmente, il blocco che Twitter ha disposto del suo account dopo che, nel novembre scorso, aveva osato riferirsi al “transessuale” e attivista Jonathan (“Jessica”) Yaniv con il pronome maschile. Il che non si è ben capito come possa essere parso offensivo, dato che Yaniv stesso, talvolta, impiega ancora un pronome maschile riferendosi a sé stesso.
Il problema è che la donna canadese, nello stesso contesto, se n’è uscita anche pure con esternazioni del tipo «gli uomini non sono donne». Decisamente troppo, per questi tempi bizzarri. Di qui il blocco del suo profilo, che però la donna non ha preso benissimo, per usare un eufemismo. «Tanto per essere chiari», ha precisato correggendo alcune ricostruzioni inesatte sulla sua vicenda, «non stavo affatto criticando le persone transgender. Semplicemente, stavo evidenziando fondamentali dati di realtà». Come darle torto.
Il punto è che da qualche tempo a questa parte il solo ricordare l’esistenza della differenza sessuale può costare caro. Ne sanno qualcosa, fra gli altri, lo svedese Germund Hesslow, professore di neurofisiologia all’università di Lund finito sotto inchiesta per aver parlato delle differenze biologiche tra maschi e femmine, e Alessandro Strumia, professore dell’Università di Pisa, anch’egli finito nel tritacarne mediatico per aver esposto, in occasione di un convegno organizzato dal Cern, 26 slide che affermavano che la fisica non è sessista e che, soprattutto, uomini e donne sono differenti.
Un’evidenza, questa ultima, ribadita da fior di scienziati e comprovata da montagne di autorevoli pubblicazioni, eppure così politicamente scorretta, ormai, da risultare bandita dal novero delle conversazioni tra persone perbene. Sta di fatto che, da brava femminista, Meghan Murphy è una tosta. E per la censura subita ha deciso di fare causa direttamente a Twitter. Al momento non è dato sapere che esito potrà avere l’azione legale intentata al colosso del web, della quale la donna stessa ha dato notizia in una conferenza stampa tenuta pochi giorni fa. C’è ovviamente già chi parla come di un tentativo, da parte di costei, di ricercare facile visibilità.
In realtà, l’impressione è che la battaglia ingaggiata da questa scrittrice sia molto importante e ci sia da essere grati, e molto, a Meghan Murphy. Sia perché, nel momento in cui uno difende la libertà di espressione, rettamente intesa, di fatto difende un valore assoluto e non certo particolare; sia perché anche grazie a lei viene sempre più a galla l’ipocrisia di un mondo social che, parole sue, «permette il porno e la diffusione di immagini lesive della dignità femminile, ma poi tappa la bocca a donne che affermano la più elementare idea sulla verità delle cose e sfidano l’idea che gli uomini, per di più attraverso una semplice dichiarazione, possano cambiare sesso». Ben detto.
Giuliano Guzzo in La NBQ