Dopo il controverso documento di interpretazione del capitolo VIII di AL da parte dei vescovi emiliano romagnoli, un parroco bolognese rompe il silenzio e presenta una Pubblica professione di fede in forma di giuramento: “Conclusioni inaccettabili per ogni buon cristiano”.
Una voce che si leva nel silenzio fa rumore. E’ quella di un parroco di montagna che con una Pubblica professione di fede in forma di giuramento effettuata dinanzi al suo vescovo Matteo Maria Zuppi ha rotto il silenzio che circonda la pubblicazione delle linee guida dei vescovi emiliano romagnoli sul capitolo VIII di Amoris Laetitia.
Lui è don Alfredo Maria Morselli e dopo molte settimane di meditazione e riflessione ha varcato il guado del Rubicone per rendere pubbliche le verità della fede cattolica che – a suo dire – sono messe a rischio con l’ultimo documento problematico. Un documento che è stato pubblicato in sordina dai pastori della Conferenza episcopale Emilia Romagna, ma sul quale non mancano le ambiguità e le trappole: specie nella parte relativa alla riammissione ai sacramenti dei divorziati “risposati”, alla castità non sempre come unica via e all’accettazione dell’unione sessuale di secondo letto definita “atto coniugale”, sono emersi più dubbi di quanti erano quelli che in realtà quel testo si prefiggeva di chiarire.
Don Alfredo ha affidato la sua pubblica professione di fede al blog Messa in latino e nel testo, prima di tutto, si percepisce il dolore del sacerdote che dopo aver attentamente ascoltato la sua coscienza e pregato ancor di più, ha preso carta e penna per rivolgersi al suo vescovo e agli altri prelati emiliano romagnoli con quella parresia che oggi viene indicata come indispensabile tra fratelli cristiani, anche se spesso maldigerita perché tacciata di affronto.
“Eccellenza, non Le ho mai nascosto le mie perplessità nei confronti dell’Esortazione Amoris laetitia: perplessità condivise con autorevoli personalità della Chiesa, Cardinali e Vescovi, soprattutto con il Suo Predecessore”, esordisce don Morselli facendo riferimento al cardinal Carlo Caffarra, estensore nell’ultimissima parte della sua vita dei noti dubia, assieme ad altri tre cardinali.
E di Caffarra sono le parole iniziali della lettera: “Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”.
Don Morselli, dopo aver esercitato quella correzione fraterna che impone prima di tutto un confronto privato, confida ai membri della CEER che “non riesco a vedere come questo documento non costituisca un allontanamento da quanto proposto a credere dalla Chiesa, in modo chiarissimo, fino a pochi anni fa”.
Il testo è diviso utilizzando un linguaggio per punti, in 44 affermazioni. Le quali non sono invenzione di don Morselli, ma appartengono a pieno titolo alle verità di fede. Oggetto del contendere l’ormai annosa questione della comunione ai divorziati risposati, argomento che don Alfredo sviscera in tutte le sue angolature.
Ma che possono essere riassunte al punto 3 chiamato “Affermazioni contraddittorie” nelle quali il sacerdote tocca il punto centrale. “Purtroppo constatiamo che la divisione tra i Pastori verte su due affermazioni contraddittorie, cioè delle quali se è vera l’una, l’altra è falsa:
(a) non è mai lecito a due persone non sposate compiere gli atti propri degli sposi
(b) qualche volta è lecito a due persone non sposate compiere gli atti propri degli sposi
E’ sulla base di questo principio di non contraddizione con cui Aristotele definisce che “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”, che don Morselli si riallaccia al punto centrale dei Dubia e di altri interventi autorevoli di prelati e pastori.
Nel testo don Morselli ricorda che “l’ammissione dei fratelli divorziati (civilmente risposati e conviventi more uxorio) alla Santa Comunione presuppone che si ritenga vero (b), e porta inevitabilmente a conclusioni inaccettabili per ogni buon cristiano”. E cita ancora Caffarra: “Il Suo venerato Predecessore, infatti, in occasione di un importante convegno svoltosi a Roma nel novembre 2015, rispondendo a una domanda circa la possibilità di ammettere i suddetti fratelli alla ricezione dell’Eucarestia, ci diceva che ciò “non è possibile”: e questo perché “una tale ammissione vorrebbe dire cambiare la dottrina del matrimonio, della Eucarestia, della confessione, della Chiesa sulla sessualità umana e quinto, avrebbe una rilevanza pedagogica devastante, perché di fronte a una tale decisione, specialmente i giovani potrebbero concludere legittimamente: allora è proprio vero, non esiste un matrimonio indissolubile”.
Nella lunga professione di fede il presbitero bolognese tocca anche molti altri temi: dall’amore e devozione per il Santo Padre al fatto che “esistono degli atti intrinsecamente cattivi che sono sempre peccato mortale, se commessi con piena avvertenza e deliberato consenso, e che quindi non possono ricevere una valutazione morale caso per caso”. Ma c’è anche uno sguardo alle “circostanze che non possono rendere buona un’azione intrinsecamente cattiva” e il credere fermamente che “la ragione umana non può creare essa stessa la norma morale”. Infine arriva ad affermare che “l’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone l’arrogarsi la facoltà di decidere sulla base del proprio pensiero”.
L’ultimo punto assume il valore di una preghiera: “Credo che Maria Santissima, debellatrice di tutte le eresie, debellerà anche gli errori circa la dottrina sul matrimonio”.
Così scrive un semplice parroco di montagna, che ora facilmente e comodamente qualcuno potrà mettere “contro” i vescovi e persino contro il Papa. “Chi è per la Verità non è contro nessuno, ma solo contro gli errori”, risponde lui sulla sua pagina Facebook. In un qualche modo però i dubia di Caffarra hanno trovato un nuovo estensore. Non è cardinale e non vive in un prestigioso palazzo episcopale, ma in montagna, dove lo sguardo però, soprattutto in Appennino, è libero dalle nebbie della pianura.
Andrea Zambrano in La NBQ